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Giorno del Ricordo: mai più ostaggi del passato (Il Piccolo 11 feb)

di MARINA NEMETH

ROMA «In ciascun Paese si ha il dovere di coltivare le proprie memorie, di non cancellare le sofferenze subite dal proprio popolo. L'essenziale però è non restare ostaggi, né in Italia, né in Slovenia, né in Croazia, degli eventi laceranti del passato”. Giorgio Napolitano, il Presidente della Repubblica che nel 2007 volle per primo por fine ad ogni «congiura del silenzio», «rimozione diplomatica» o «ingiustificabile dimenticanza» sulle vittime delle Foibe, invita, nella Giornata del ricordo celebrata al Quirinale, a «guardare avanti». Lo fa, Napolitano, con un senso di sollievo, pronunciando quel «finalmente» che sancisce il «superamento delle divisioni del passato», «degli odi feroci causati dai terribili mesi in cui la lotta per fissare nuovi confini produsse centinaia di vittime e di deportati». Guardare avanti, perché «sarà il modo migliore di continuare a condividere il dolore dei familiari delle vittime che ricordiamo, e di onorare il sacrificio di quanti caddero senza colpe». Per «costruire e far progredire una feconda collaborazione sulle diverse sponde dell'Adriatico», nel segno di una comune appartenenza europea che «arricchisce le rispettive identità nazionali».

Affinché il male non si ripeta più, e il ricordo degli innocenti caduti resti visibile nella nostra memoria attraverso iniziative di riconciliazione, il Capo dello Stato annuncia poi di condividere il progetto di un parco della pace da Caporetto a Duino in ricordo di tutti i Caduti, o assassinati, fra le pietraie del Carso, nelle trincee della prima guerra e nelle foibe del '45. «Ritroviamoci tutti – dice citando le parole di Enzo Bettizza – in questi progetti lungimiranti, richiamiamoci all'eredità del Risorgimento e del concorso dei patrioti delle terre adriatiche», “nello spirito – richiama – di serene e riflessive celebrazioni del 150esimo dell'Unità d'Italia».

Parole che vorrebbero superare, senza rimuoverle, antiche ferite e lacerazioni che proprio l'altra notte qualcuno ha voluto rinfocolare, rimuovendo a Marghera la targa commemorativa dedicata ai Martiri delle foibe. Atti di vandalismo dietro i quali si nasconde, forse, ancora odio e rancore. E quel negazionismo, duro a morire, «per lunghi anni anche delle istituzioni» che il sindaco di Roma Gianni Alemanno cita nella commemorazione al Campidoglio con gli esuli istriani, fiumani e dalmati di Roma, i loro figli e nipoti. Ricostruire nella comune Patria europea «la pacifica convivenza fra popolo italiano e slavo che per secoli è stata una ricchezza» è anche l'appello di Carlo Giovanardi, intervenuto a nome del governo. Il sottosegretario ricorda però le comuni colpe, «le gravi responsabilità del fascismo con l'annessione di Lubiana e la dura repressione delle popolazioni croate e slovene in Istria e in Dalmazia» e «la repressione titina contro la comunità italiana con modalità da tempo pianificate con l'obiettivo dell'annessione».

Ma non c'è più acrimonia fra gli esuli della comunità giuliano dalmata di Roma che ascolta al Quirinale il concerto dei Cameristi triestini diretti da Fabio Nossal, riceve i diplomi e le medaglie commemorative da Gianni Letta. Solo nostalgia e ricordi, raccontati in dialetto, la lingua dell'infanzia, dai quali prendono vita le foto in bianco e nero dell'esodo. Gigliola Zanelli, seduta assieme al fratello sul camioncino prima di andarsene con le poche cose sfuggite alla razzia. La zuffa orchestrata da Antonio Mattei con i fratelli alla partenza da Zara per far salire nella confusione sulla nave anche i cugini. La paura di Olga Zelco a cui per due volte viene rifiutata l'opzione alla cittadinanza italiana. L'urlo «Viva l'Italia» all'arrivo al confine.

I primi approcci: «Che siete venuti a fare? Chi ve l'ha fatto fare?». E quella ritrosia a ricordare per non soffrire, non raccontare ai figli ciò che si è patito. I miei mi dicevano, svela Giorgio Marsan: «Dì che vieni da Trieste e basta. Non capirebbero».

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