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Giovanna Simonetti dà sapore alla storia di Trieste e Istria (Il Piccolo 02 dic)

Trieste forse, escluse Roma e Firenze, vanta un primato. Mai come a questa città sono stati dedicati tanti libri. D'altra parte la storia non le ha risparmiato imprevisti, ostacoli, trasformazioni, colpi di scena. A ciò si aggiunga la bellezza del paesaggio, l'architettura raffinata, una sorta di capitale decaduta che impone ai triestini una perenne celebrazione: la sua storia, la sua gente, i suoi costumi. È anche il caso di Giovanna Simonetti con "Trieste i sapori della storia" (Edizioni Biblioteca dell'Immagine, pagg. 178, euro 12,50) che sarà presentato oggi, alle 18, alla Libreria Lovat di Trieste da Gabriella Ziani.

Un libro dalla struttura originale, scandito, nelle tante rivisitazioni storiche, da un serbatoio culinario davvero molto nutrito. La protagonista, Speranza, figlia di esuli istriani, inizia la sua educazione sentimentale, tra la zia e il padre, fatta di percorsi precisi – geografici, architettonici, folcloristici – dove a emergere è sì la vicenda di una città afflitta (siamo nel 1953) nelle sue tante etnie e incomprensioni, ma su tutto spicca il lascito della madre, scomparsa prematuramente. A questa perdita Speranza opporrà la vitalità del ricettario ereditato, una sorta di rifugio ideale per rielaborare il dolore.

È davvero impossibile contare le pietanze elencate in questo libro. Ognuna con la propria storia, fatta di radici lontane, fatta di popoli infine confluiti qui, tra terra e mare. Il cibo, come altri temi affrontati, diviene anche qualcosa che lascia affluire la nostalgia di un passato quasi dimenticato, nel ricordo delle cosiddette mussolere. Oppure le venderigole, di cui l'autrice ci svela come già nel Medioevo esisteva una confraternita. Cucina turca, araba, veneziana, ebraica, boema e la stessa dovizia di particolari è dedicata alle origini filologiche di un nome, come per esempio "in savor", con tutte le sue derivazioni veneziane, spagnole e arabe.

Ma non si pensi che sia un libro fatto da una donna e destinato alle donne. L'autrice, nel periodo considerato – soprattutto dal fascismo al dopoguerra – sfodera una conoscenza storica disarmante, romanzata nelle vicende di Tullio (le repressioni della polizia di Winterton) o nelle lunghe lezioni di zia Lisa, talvolta con particolari crudi, terribili, come ciò che accade nella Risiera o nelle foibe, ma sempre con uno sguardo imparziale, una prospettiva lucida che non risparmia a nessuno le rispettive colpe.

Godibile invece, per armonia e leggerezza, la scoperta di altre planimetrie, come le vecchie osterie, trattorie e buffet triestini dove, tra gli altri, spunta "de Primo", "Ai Cavai", "Siora Rosa", con i loro tipici menù e una particolare clientela, così lontane nel tempo da sembrare impossibile esistessero anche allora. Ma questo fa la letteratura, scava, indaga, tenta di ricostruire un puzzle, mette insieme i pezzi per non tralasciare alcuna visuale. Nell'occasione è l'anima di un'adolescente in gioco, Speranza, che assorbe tutto con anima prensile e infine riesce ad acquistare un pensiero critico, autonomo, anche nei confronti delle proprie radici. E sarà nella consapevolezza, non solo del passato, che Speranza potrà finalmente visitare l'Istria, con uno sguardo lirico ma adulto, convinta com'è "che esistano infinite opinioni ma ben poche verità".

Mary B. Tolusso

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