Giulio Scala, patriota fiumano e cittadino del mondo

Pubblichiamo con piacere la recensione di Carlo Cesare Montani al libro di Cristina Scala, intitolato Ricordi fiumani e ciacolade di Giulio Scala. All’Autrice è stato conferito il Premio “Gen. Loris Tanzella” di Verona per l’edizione 2018 avendo contribuito “alla conoscenza e alla divulgazione del patrimonio culturale, storico e linguistico che la millenaria civiltà, romana prima e veneta poi, ha sviluppato nelle terre dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia”. Ringraziamo Carlo Cesare Montani, esule di Fiume, per queste sue originali note critiche (a cura di Elio Varutti).

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Un’attenta rilettura dell’opera di Giulio Scala (Fiume, novembre 1928 – Hattersheim / Main, luglio 2012) a quasi un secolo dalla nascita, e trascorso un decennio dalla dolorosa scomparsa, è diventata possibile nel segno delle “egregie cose” di Ugo Foscolo grazie all’impegno della figlia che ha onorato una straordinaria “eredità d’affetti” curandone la coinvolgente ed esaustiva edizione, già pervenuta alla quinta ristampa (Cristina Scala, Ricordi fiumani e ciacolade di Giulio Scala, Edizioni Il pigiama del gatto, Genova – Portogruaro VE, 2018, pagg. 312). In effetti, a lettura compiuta il titolo appare quasi riduttivo, perché l’opera è un grande affresco di storia e di pensieri mai effimeri che richiama alla memoria un ideale “vir bonus cum mala fortuna compositus” (ovvero l’uomo forte posto di fronte alla sventura eternato nella filosofia di Seneca). Non a caso, proprio a Cristina è stato conferito il Premio “Gen. Loris Tanzella” del 2018 con la motivazione di avere contribuito in maniera importante “alla conoscenza e alla divulgazione del patrimonio culturale, storico e linguistico che la millenaria civiltà, romana prima e veneta poi, ha sviluppato nelle terre dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia” mettendo in chiara luce “il valore inestimabile delle testimonianze” rese dai protagonisti dell’esodo.

Caratteri salienti e ricorrenti nel volume dedicato a Giulio sono l’amore incondizionato per quella Fiume che gli aveva dato i natali e di cui riconosceva la specifica unicità storica e culturale, con una costante presa di distanze dalla politica deteriore dei compromessi e delle consorterie. Nondimeno, in sottintesa aderenza al pensiero di Aristotele secondo cui “l’uomo è un animale politico” per natura, dalle sue pagine emerge in modo continuo e convinto il riferimento alla gestione ideale della cosa pubblica come “arte di operare nella vita associata per il bene comune”. Ciò, come da vecchio assunto della scienza politica dal Seicento in poi, a parziale modifica di quello proprio di Nicolò Machiavelli circa il fine supremo di “salvezza dello Stato” cui, secondo il Segretario fiorentino, bisogna restare sempre fedeli. Una riflessione attenta sull’esperienza umana e civile di Giulio Scala non può prescindere da questi aspetti del suo pensiero, ben oltre il linguaggio volutamente popolare (metà del volume è in “lingua” fiumana) assunto per farsi comprendere meglio da tutti, a cominciare dai “muli” di Fiume cui si rivolge con continuo affetto.

Del resto, i maggiori protagonisti della vita politica novecentesca trovano spazio, sia pure non prioritario, nelle pagine di Scala, a cominciare dal Maresciallo Tito e da Benito Mussolini, per non dire dei loro fedeli, che tanta parte ebbero nella recente storia di Fiume, e delle sue oggettive sventure, ma non senza qualche accenno umano, come quello per Vittorio Emanuele III fuggito a Brindisi lasciando “in braghe di tela” i poveri soldati italiani, ma nello stesso tempo, in chiara dissociazione da coloro che non lo fecero rientrare in Italia “nemmeno dopo morto”.  Di tutt’altro segno sono i riferimenti al “nostro” Comandante Gabriele d’Annunzio: da quelli per i pastori come Aligi che facevano pascolare tranquillamente le capre sui nativi monti abruzzesi, al ricordo della sua “impresa eroica e sfortunata” chiusa con una vera e propria prova di guerra civile, quando l’Italia di Giovanni Giolitti “avrebbe mandato le sue navi e i suoi soldati a sparare su noi fiumani” in occasione del celebre “Natale di Sangue” (1920).

Sbaglierebbe di parecchio chi si proponesse di cercare nell’opera di Scala spunti revanscisti, o peggio ancora, incitamenti all’odio: Giulio è un autentico cristiano, anche se non si pone il problema della natura di Gesù, del Padre e della Trinità, che al pari di Dante – e del grande patriota dalmata Don Luigi Stefani – lascia ai teologi. Di qui, la pietas che manifesta nella cripta viennese davanti ai sepolcri di Francesco Giuseppe, della consorte Sissi e dell’infelice figlio Rodolfo; senza dire del disappunto per le guerre del Duce che si stempera nell’umorismo quando Giulio afferma che Mussolini fu capace di perdere quella con le mosche, nonostante l’imperativo categorico di utilizzare l’insetticida tramite il mitico “flit”.

Alla domanda se possano esistere dittature sane, Scala risponde negativamente citando parecchi esempi importanti, tra cui (in ordine alfabetico – n.d.r.) quelli di Ceausescu, Duvalier, Gheddafi, Hitler, Khomeini, Marcos, Stalin, e dello stesso Josip Broz detto Tito, apportatori di miseria o di sventure anche peggiori per i loro popoli, tanto da far rimpiangere le peggiori democrazie. Per ogni buon conto, resta un fatto indubitabile: invece di fare guerre e produrre cannoni e di “baruffarsi nei teatrini“ dei consessi internazionali, sarebbe il caso di investire meglio i miliardi di dollari spesi invano, a cominciare da quelli per le armi. In questo caso, i cosiddetti Grandi della Terra non avrebbero “venduto Fiume”.

Il buon senso cristiano non privo di realismo e di tranquilla consapevolezza, con cui il saggio attende il compimento delle “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria, è  sempre quello per cui Giulio può affermare, a titolo di memento, che l’ultima camisa no la ga scarsele, quasi a richiamare il prossimo sulla caducità della vita, e a maggior ragione, su quella delle ricchezze: noi “andremo in Paradiso, oppure all’Inferno” senza che nessuno ci chieda in quale tipo di quartiere si abitava, o quale fosse il mestiere del nonno. Del resto, l’idea dell’ultimo vestito senza tasche ha fatto scuola, tanto da avere trovato spazio anche nel testamento spirituale di un grande campione della bicicletta come Gino Bartali.

Nella stessa dimensione sanamente patriottica e civile, Scala non può esimersi dal rammentare che nel 1918 a Fiume si aspettava l’Italia. Invece arrivarono gli italiani che non esitarono a bandire austriaci, croati e ungheresi, con una sorta di “pulizia etnica” che peraltro avrebbe avuto un seguito straordinariamente peggiore nel 1945 e negli anni successivi, quando si cercò “con tutti i mezzi di cancellare ogni traccia di lingua e cultura italiana”. Che differenza rispetto ai cosiddetti secoli bui del Medio Evo quando i monaci salvarono la cultura e l’arte! Non ha avuto certamente torto il Prof. Carlo Prosperi, nella premessa all’opera di Scala, quando si è richiamato conclusivamente alla teoria ciclica di Giambattista Vico secondo cui gli uomini, prima di “riflettere con mente pura” erano stati “bestioni” tutta ferocia (e quel che è peggio, possono tornare a esserlo, come la storia ha potentemente dimostrato).

Del resto, come Giulio afferma senza mezzi termini, oltre il ponte sulla Fiumara che portava a Sussak c’era un mondo completamente diverso da quello fiumano: “altra gente, altri costumi, altra lingua, e non parliamo di razza perché l’argomento è poco simpatico specialmente a Fiume”. Ne avrebbe fatto drammatica e fortunosa esperienza il 3 maggio 1945, quando fu messo al muro per essere fucilato dai primi partigiani titoisti scesi in città, salvo esserne inopinatamente graziato, verosimilmente perché “troppo giovane” e quindi a più forte ragione incolpevole (aveva appena sedici anni). Ecco un passato da non poter dimenticare, alla stregua di quanto Giulio ha scritto, citando Tan Huei, in questo emozionante ricordo di tutta la vita.

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A parte le considerazioni politiche, l’opera di Giulio Scala è un profluvio di riflessioni che inducono pensieri non meno effimeri da parte dei lettori circa Fiume, e non solo: ciò, in una singolare disponibilità a valutare il mondo nella sua multiforme complessità, riveniente da un animo sensibile, ma nello stesso tempo da un’ineguagliabile esperienza internazionale, estesa a tutti i continenti e tutti i mari del mondo. Allora, i ricordi si accavallano in una lunga serie di rapide impressioni peraltro mai meramente fotografiche, ma spunto di commenti generalmente oggettivi ma non per questo immuni da giudizi di valore.

Ecco il campanile bianco di Cosala che si vedeva dalle rive marittime del porto fiumano ma ora non si vede più perché nascosto dai brutti grattacieli fatti costruire da Tito. Seguono le citazioni di Amburgo, Francoforte, Salisburgo e via dicendo, trascritte come tali dalla stampa italiana diversamente da quelle di Pula, Split e Zadar, ignorandone volutamente storia e cultura. Non manca un flash circa la partenza della “Freccia del Carnaro” (Autolinea Grattoni) che collegava Fiume a Trieste in novanta minuti e si preparava all’ultimo viaggio carica di “profughi di lusso” prima che arrivasse il nuovo padrone. Che dire poi, delle letture giovanili di libri come “Ragazzi della Via Paal” assurti a simbolo di un beninteso patriottismo di quartiere ma non per questo meno sentito? O del primo, dolcissimo bacio alla “mula” in Molo Lungo, a prezzo del catrame sui pantaloni e dei rimproveri materni al rientro a casa?  Non manca nemmeno un rammarico per i gatti tedeschi che si nutrono di cibi in scatola, perché non potranno mai intuire quanto fossero buone le teste di sgombro che si davano a quelli di Fiume, tenuto conto che anche i gatti sono “creature di Dio”. Queste annotazioni hanno carattere solo apparentemente leggero: a più forte ragione, ciò vale per l’Ispettore di Dogana che si faceva “annotare tre ore di straordinario” per un sopralluogo minimo alla partenza di un carico per l’estero. Lo stesso si può dire per il dissenso incivile manifestato allo stadio di Trieste in occasione di una partita fra Brasile e Slovenia: il calcio dovrebbe essere solo uno sport, lasciando ad altri il ricordo delle foibe e delle persecuzioni titoiste, assieme a quello della Divisione Julia immolatasi in Grecia e sul Don. Non meno chiara è la dissociazione di Giulio dal moderno oltranzismo tedesco secondo cui “Ich bin stolz ein Deutscher zu sein”: caso mai, aggiunge subito, bisognerebbe dire universalmente “ein Mensch”.

Soprattutto in età tarda, dopo il pensionamento, Giulio si avvicinò maggiormente al mondo della diaspora giuliana, fiumana e dalmata avviando un intenso rapporto  con alcune testate giornalistiche degli ambienti esuli, e in  modo speciale con la Voce di Fiume già diretta da Carlo Cattalini, fratello della sua professoressa “fumatrice accanita ma severa e giusta” che diversamente dal popolare Carletto non aveva voluto italianizzare il cognome. Tali rapporti rimasero prevalentemente epistolari, e naturalmente cordiali, mentre ebbero carattere saltuario quelli con le Organizzazioni esuli e in particolare con le varie Associazioni. A tale ultimo riguardo  rammenta che il 15 giugno 2002 ebbe luogo, in occasione della festa patronale di San Vito, un incontro fortuito con Amleto Ballarini, Presidente della Società di Studi Fiumani, che aveva definito Scala quale “disertore” oltre che “anti-eroe” per avere gettato il fucile in mare, sia pure a guerra finita, invece di conservarlo per possibili evenienze future non meglio definite. Giulio gli rispose dicendo di non avere mai avuto la vocazione dell’eroe e aggiungendo che la qualifica di “anti-eroe” gli piaceva molto.

Diceva di non comprendere (in realtà le capiva sin troppo bene) le ragioni per cui i profughi italiani erano trattati in modo quasi antitetico rispetto a quelli tedeschi dalla Pomerania, dalla Slesia o dai Sudeti: questi colmi di provvidenze, e quelli giuliani, istriani e dalmati, nella migliore delle ipotesi, con aiuti assimilabili a vere e proprie elemosine. Eppure la Germania era uscita dalla guerra in condizioni assai peggiori.

Da buon conoscitore dei sacrifici affrontati dagli esuli in terra estera, apprezzava molto i personaggi che si erano fatti onore  in Paesi lontani: tra gli altri, il prof. Claudio Antonelli, occupato in ruoli di prestigio all’Università canadese di Montreal, e la signora Perillo, che aveva avviato in Nuova Zelanda una fiorente attività produttiva e commerciale nel settore calzaturiero. Giulio aveva grande stima anche per il prof. Samani, Preside della Scuola media “Cambieri” che gli aveva voluto fare le scuse personali nel maggio 1945 quando era stato costretto dai partigiani di Tito a espellerlo perché “nazionalista” (non è dato sapere sulla base di quali prove né tanto meno alla luce di quali testimonianze) ed il cui “Dizionario fiumano” era particolarmente utilizzato da tanti, compreso lo stesso Giulio, per consultazione e documentazione.

In qualche occasione, sembra avere avuto il dono del vaticinio, come nell’affermazione per cui la Seconda Guerra mondiale non sarebbe stata certamente l’ultima: in effetti, bastava considerare attentamente la “realtà effettuale” come lui amava fare., specialmente in occasione dei suoi lunghi viaggi per mare e delle lunghe soste della sua nave a Bombay, Singapore od Hong – Kong. Al contrario, come aggiungeva con malcelato disappunto, oggi tutto va di fretta, e il tempo per riflettere è per lo meno diminuito. Si dichiarava “spinto dalla costante paura di non arrivare a leggere abbastanza libri importanti” (ecco un’altra implicita dichiarazione di fede) e non era insensibile alle grandi emozioni della vita come quando pianse “come una fontana” all’età di 42 anni quando si trovò in braccio il primogenito Marco appena nato, per non dire della presenza ai concerti salisburghesi diretti dal Maestro Herbert von Karajan, con naturali preferenze per le sinfonie della grande musica tedesca.

Giulio Scala non ebbe il dono dell’ottimismo ma nemmeno la tristezza di un pessimismo pur motivato dagli eventi. Al contrario, seppe guardare le cose del mondo con opportuno realismo. Troppo spesso, l’uomo indulge alla tentazione di farsi “homini lupus” (come si afferma nell’ultimo toccante elzeviro del 2012) e di contribuire al processo di autodistruzione che minaccia di essere l’anticamera di una catarsi insensata. Ciò, non senza un amaro sorriso che scaturisce dalla storiella, cara a Giulio, dei due pianeti contigui che si salutano tra le vanterie di quello in grado di affermare la propria superiorità derivante dal possedere l’esclusiva dell’homo sapiens, provocando l’immediata risposta dell’altro: “Ma non per molto”. Il minimo che si può dire è che la Terra, nonostante i suoi contenuti di sapienza, non ne esce bene!

Il realismo di Giulio è garanzia di oggettività e quindi, di efficace attendibilità. In questo senso, contribuisce a motivare l’elogio incondizionato della Bandiera e l’anatema pronunciato nei confronti di quel Ministro della Repubblica Italiana che – senza far nomi del resto arcinoti – si permise di dire “ufficialmente che lui con la bandiera italiana ci si pulisce il culo”. Di fronte al turpiloquio elevato a sistema, Giulio seppe reagire con la saggezza di Seneca, nel ricordo del grande Esule, ossia di  Dante, e della sua evocazione di “quant’è duro calle lo scender e salir per l’altrui scale”.

Non omnis moriar. Il celebre verso di Orazio si può certamente trasferire all’esperienza umana, professionale e patriottica di Giulio Scala, con riferimento alla sua testimonianza e alla sua opera storica che, lungi dalle suggestioni devianti di Theodor Adorno e di Herbert  Marcuse, continua a vivere nel cuore di Fiume, dell’Italia migliore, e del mondo civile, in cui la vita non è soltanto lavoro fatto bene, ma nello stesso tempo, cultura del corpo e soprattutto dello Spirito.

Carlo Cesare Montani
Esule da Fiume

Nota biografica Giulio Scala, dopo l’infanzia e la prima giovinezza trascorse a Fiume frequentando la Scuola primaria “Cambieri” e poi l’Istituto tecnico Commerciale “Leonardo da Vinci” non poté finire gli studi nella città natale a causa dell’occupazione slava, durante la quale corse il rischio di essere fucilato, e nel 1946, dopo la partenza per l’esilio, fu ammesso al Collegio “Nicolò Tommaseo” di Brindisi, destinato ai giovani Esuli per una formazione oggettivamente dura. Dopo avere ottenuto il diploma di Ragioniere, conseguì la laurea in Scienze Marittime all’Università di Napoli, non senza nuovi sacrifici.
Alla metà degli anni cinquanta ebbe inizio la sua attività professionale sul mare che si sarebbe protratta per un decennio, dapprima con le navi che portavano folle di emigranti e di profughi in Sudamerica e in Australia, e poi con quelle del “Lloyd Triestino” sulle rotte dell’Estremo Oriente. Nel 1964 fu assunto dall’Alitalia con mansioni direttive, e destinato a Francoforte dove nel 1966 si sposò con Karin Hollube, esule dai territori orientali ex tedeschi. Dal matrimonio sarebbero nati i figli Marco e Cristina. Nel 1971 rientrò in Italia, stavolta quale dirigente del medesimo “Lloyd Triestino” e otto anni più tardi tornò in Germania, dove avrebbe chiuso la sua straordinaria carriera, sempre nel settore marittimo, presso il Gruppo Grimaldi. Maturato il diritto a pensione, rientrò nuovamente in Italia nel 2000 fissando la residenza a Concordia Sagittaria, in agro di Portogruaro.
Qui, nonostante vicende sanitarie che ne condizionarono parzialmente la mobilità, si dedicò al mondo esule, segnatamente con la lunga collaborazione alla “Voce di Fiume” (Organo del Comune in Esilio) e alla “Voce del Popolo”. Nondimeno, già dal 1986, assieme a un cospicuo gruppo di ex-allievi aveva contribuito a fondare la “Libera Unione dei Muli del Tommaseo” partecipando attivamente alle riunioni annuali di Colle Isarco (Bolzano) e di Mogliano (Venezia).
Agli inizi del 2012 Giulio e Karin tornarono definitivamente in Germania, dove Marco era rimasto stabilmente facendoli diventare nonni, e presero dimora nelle vicinanze di Francoforte, in una struttura indipendente, attrezzata anche dal punto di vista medico. Purtroppo, un infausto destino era dietro l’angolo: a pochissimi giorni dal trasferimento Karin non si sarebbe svegliata al mattino, e Giulio, distrutto dal dolore, la seguì dopo quattro mesi.
La figlia Cristina, nel 2018, ha onorato la promessa di pubblicarne le memorie, a testimonianza di una vita utilmente spesa al servizio dei valori non negoziabili.

Note – Autore principale: Carlo Cesare Montani. Attività di divulgazione: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking di Tulia Hannah Tiervo e E. Varutti. Lettori: Carlo Cesare Montani, Laura Brussi e Sebastiano Pio Zucchiatti. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie dalla collezione di Laura Brussi e Carlo Cesare Montani. Altri materiali dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

Fonte: ANVGD Udine – 18/06/2022

Cristina Scala al Premio Tanzella 2018
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