LETTERE
Non è vero che gli assenti hanno sempre torto, a volte ci azzeccano. È capitato in luglio al concerto di Muti. Non che l’iniziativa in sé fosse inopportuna: le fratture storiche si debbono ricomporre, soprattutto in seno all’Unione Europea, e torti e morti vanno seppelliti, ma con dignità, senza infilarli di soppiatto nelle fosse comuni dell’anti-memoria. Tracciare il percorso per giungere a questo auspicabilissimo risultato è compito di quell’organismo, la diplomazia, per il quale la sostanza dei fatti si dissolve per dare spazio alla sola forma. Compito difficilissimo, che richiede doti di equilibrio, prudenza, penetrazione psicologica e lungimirante intelligenza, sorrette da un inflessibile senso del decoro.
Come se l’è cavata in questo frangente la nostra diplomazia? Da par suo, cioè malissimo. In fondo è la stessa che trentacinque anni fa aveva, senza un filo di rossore, cercato di accreditare il protocollo istitutivo della zona industriale a cavallo del confine come solida contropartita economica per la rinuncia alla zona B; con simili credenziali non era lecito attendersi nulla di buono. Equilibrio; ma quale equilibrio può mai esserci se si commemora, e al massimo livello, l’incendio del Balkan – un sopruso odioso e riprorevole fin che si vuole ma senza vittime – mentre si omette l’omaggio ad un luogo simbolo come la foiba di Basovizza, ripiegando sulla visita a un monumento asettico e privo di qualunque impatto emotivo? È un vero paradosso che a poche miglia di distanza fra loro operino la diplomazia vaticana, una delle più antiche e raffinate del pianeta e quella, rozza e pasticciona, che «cura» la nostra immagine. Il decoro è fuori della portata dei caratteri fragili, però gli agiografi dei buoni sentimenti non mancano mai e quindi le laudi andavano dal moderato «voltar pagina» fino a chi vi ha visto una «svolta storica». L’unica scelta giusta l’ha fatta, pur senza rendersene conto, il signor Rumiz che prima di comporre il suo panegirico, ha festeggiato con una birra. Tranne una bevanda dal sapore amaro, nulla poteva suggellare meglio un tale capolavoro diplomatico.
Dino De Marco