LETTERE A LA STANZA DI MARIO CERVI
Egregio signor Cervi,
sono passata brevemente in visita per Rovigno, piccolo gioiello dell’Adriatico, e mi sono trovata a camminare per straducole laterali, su cui si affacciavano case di evidente fattura veneta, abbandonate e fatiscenti. Non ho avuto modo di fotografarle, mentre un po’ più avanti nella visita ho potuto riprendere qualche edificio del centro storico, magari con il ristorantino o la taverna al piano terra, ma altrettanto fatiscente. Ho provato un’indicibile tristezza al pensiero degli Italiani che sono stati costretti a scappare, e di quelli che non ci sono riusciti e sono finiti nelle foibe. È di questi giorni la pronuncia della Corte suprema croata che riconosce il diritto al ritorno o al risarcimento di alcune famiglie, peraltro proprietarie di grossi edifici. Ma mi domando: gli altri? Le piccole, anonime vite schiacciate e distrutte? Gli opuscoli distribuiti dai locali uffici del turismo addolciscono molto il racconto della fuga degli Italiani nel ’45, ovviamente («se ne andarono»). Nel contempo ho avuto modo di fotografare due lapidi, una a Rovigno e un’altra dalle parti di Orsera, che celebrano il sacrificio di una fulgida figura di comunista e di un rivoluzionario istriano, «ad opera dei nazisti». Mi sono domandata se non è invece avvenuto per mano di compagni di lotta, come è stato in Friuli per i partigiani bianchi. Quanto si sa oggi delle famiglie istriane italiane sparite nell’inferno comunista di Tito? C’è qualcuno che anche lì ha cominciato a raccontare la verità?