ANVGD_cover-post-no-img

Gli italiani nel Carso ”sloveno”: ingiuste le accuse di Pahor (Il Piccolo 24 apr)

Concordo con Boris Pahor che gli eventi storici vadano contestualizzati, ma l’argomento implicito che Pahor ne fa discendere (“il male ebbe inizio un quarto di secolo prima”), e cioè che le vittime italiane delle foibe siano il risultato, quasi naturale verrebbe da dire, dei crimini fascisti, cioè che quelle vittime siano una giusta vendetta, comunque comprensibile e scusabile, è inaccettabile sul piano storico-politico e sul piano etico.

 

Dal punto di vista storico e politico, l’argomento di Pahor presenta la difficoltà nota della regressio ad infinitum, cioè quando arrestiamo la ricerca a ritroso di una causa a monte rispetto al fenomeno che vogliamo spiegare? Si tratta di un modo di ragionare difettoso e inconcludente, c’è sempre qualcosa “capitato prima” che agisce su cosa sta capitando adesso, o almeno così ci può sembrare. Sul piano etico, il ragionare di Pahor è un po’ primitivo. La sua sembrerebbe quasi una “giustificazione” etica degli eccidi delle foibe come reazione ai crimini fascisti, ma questa è la “legge dell’occhio per l’occhio”, della vendetta che va consumata. Certo, in un procedimento giudiziale la valutazione di un crimine deve tener conto delle circostanze attenuanti, ma resta la sua unicità e la responsabilità diretta di chi lo ha commesso.

 

Non si può però tacere su di un’altra contraddizione del pensiero di Pahor. Una “memoria condivisa” la si potrebbe acquisire qualora le comunità italiana e slovena s’integrassero in una nuova “comunità di destino”, finissero perciò a far parte di una comunità integrata più larga con simboli e rappresentazioni comunitarie nuove. Ci si potrebbe attendere, da questo punto di vista, una maggiore apertura da parte di Pahor e altri intellettuali della minoranza rispetto alla tendenza di alcune famiglie italiane (la mia, per inciso) di trasferirsi nella vicina Slovenia, effetto dell’integrazione di questa ultima nell’Ue. Questi sono esempi concreti – e non lirici – del tentativo di costruire qualcosa insieme noi e gli sloveni, una nuova “comunità di destino” banale, ma importante: quella della “vicinanza”, del condividere esperienze e problemi quotidiani comuni.

 

Invece, no. Pahor ha recentemente attaccato polemicamente gli italiani che si stabiliscono in Slovenia, acquistando immobili, e parlato a tal riguardo di un “colonialismo economico”. Ci ha accusato, inoltre, di essere responsabili dell’aumento dei prezzi delle case nella vicina Slovenia. Sotto il profilo economico, la domanda è se i prezzi degli immobili nel Carso sloveno siano lievitati a causa degli acquisti “italiani”, ma solo un’analisi superficiale e francamente risibile dei fenomeni economici può condurre ad una risposta positiva. La crescita dei prezzi è un andamento tipico delle economie in espansione, dei mercati allargati e dell’ampliamento dei flussi finanziari. La bolla immobiliare a Capodistria e nel litorale è stata soprattutto provocata dall’azione di capitali interni, oltre che croati, russi e di altra provenienza.

 

In conseguenza di ciò, nella regione Primorska i comuni carsici stanno subendo un flusso migratorio interno, di sloveni del litorale, prevalentemente provenienti dalle aree di Capodistria, Isola e Pirano, che cercano ed acquistano casa nel Carso come reazione alla crescita dei prezzi nelle loro zone di origine. Inoltre, la lamentela di Pahor nasconde la crescita dei flussi monetari e della ricchezza collegabile all’apertura dei mercati. Una famiglia media italiana, poniamo, che acquisti una casa in Slovenia e vi stabilisca la sua residenza: a) ha diretto i suoi risparmi verso la Slovenia per l’acquisto; b) paga i servizi sloveni (elettricità, gas, acqua, canone televisivo, raccolta rifiuti) e si accolla la relativa tassazione; c) spende quota del suo restante reddito negli esercizi sloveni per gli acquisti di prima necessità. Ciò significa spostare la propria “ricchezza” in quel luogo e condividerla con chi già vi risiede. Mi riferisco, ovviamente alla ricchezza “monetaria”, che risulta almeno meno opinabile e più facilmente identificabile di quella “culturale”.

 

Il “Carso sloveno” non esiste, come non esiste il “Carso italiano”. Sono gli esseri umani che forgiano delle immagini o delle rappresentazioni delle realtà, attribuendo identità fittizie a questa o quella cosa per celare a sé e agli altri i propri interessi. Questo morbo si chiama “nazionalismo” e stupisce che avendo in passato sofferto le azioni del nazionalismo fascista, oggi Boris Pahor proponga contro gli italiani nel “Carso sloveno” soluzioni a quelle analoghe.

 

Giuseppe Ieraci

Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Università di Trieste

“Il Piccolo” 24 aprile 2012

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.