LETTERE
Leggo con interesse l'articolo pubblicato sulle 100.000 vittime di Tito nel dopoguerra in Jugoslavia. Vittime slave, non italiane o tedesche. Argomento tabù fino a qualche anno fa come se Tito non fosse mai morto e la sua Ozna continuasse ancora ad assassinare. Ora finalmente se ne parla senza paura di finire in foiba o comunque con una pallottola nella nuca.
Vivo da molti anni a Duino e devo dire che qui ho trovato un’atmosfera di civile convivenza fra la gente che a casa parla l’italiano e quella che parla lo sloveno. Un’atmosfera serena che non fa pesare né agli uni né agli altri la rispettiva matrice di provenienza. Sarà frutto dell’educazione austroungarica che abbiamo ancora nel sangue o anche delle amministrazioni che si sono succedute sul territorio. Insomma si vive in pace. Ho anche amici e conoscenti nel gruppo sloveno, mi servo nelle loro botteghe, posso dire di essermi perfettamante integrato, io che vengo da Trieste, nel territorio del Comune di Duino Aurisina – Devin Nabrezina. Ma la cosa che mi stupisce è che, a fronte delle migliaia di sloveni che morirono in guerra e soprattutto in pace ammazzati dai titini, cioè dai loro fratelli sloveni e croati comunisti, non ne conosco uno, dico uno che mi dica: "Mio padre (o mio zio o mio nonno) fu nei Domobranci o nella Bela Garda o in uno dei tanti reparti costituiti dai tedeschi in funzione anticomunista".
Anche nella Milizia italiana ce ne furono, anche nell’aeronautica, anche in Marina. E come mai adesso sono scomparsi nel nulla? Non sarebbe ora di dire la verità?
Claudio de Ferra