Chi s’avventura nella storiografia su Pola, ricercando gli avvenimenti occorsi negli anni dell’occupazione titina e in quelli immediatamente successivi dell’esodo, ha delle vere difficoltà nel reperimento delle notizie. Nel mio caso, avevo cercato di supplire con il libro dello stesso Prof. Roberto Spazzali su Pola Operaia, integrandolo con le notizie dell’ampio saggio di Luciano ed Ezio Giuricin dedicato alla storia dell’Unione degli Italiani, che fornisce un quadro dell’atmosfera che regnava a Pola in quegli anni.
Mancava un saggio, una trattazione completa che fornisse una narrazione dei fatti accaduti, basata sullo studio degli archivi esistenti e che si aggiungesse alle numerose testimonianze che sono state rese da chi ebbe la sventura di vivere nella città, anche se per breve tempo, prima dell’esodo. Cito i saggi di Nelida Milani, che mi hanno aiutato a capire i condizionamenti psicologici di chi si è trovato a rimanervi con la ferma intenzione di non esodare e nel contempo ha voluto mantenere i tratti caratteristici della sua identità.
Esaminiamo il lavoro del Prof. Spazzali. Le fonti di questo libro si rifanno all’ampia documentazione esistente alla Presidenza del Consiglio (Archivio Ufficio Zone di Confine) ed ai notiziari dattiloscritti trasmessi dal ’45 al ’47 e fino al ’50 dalla sede di Radio Venezia Giulia. Nel periodo della Repubblica Sociale, dopo le prime sollevazioni del settembre-ottobre ’43, si attuarono 20 mesi di dura oppressione nazista e dal maggio ’45 i famigerati quaranta giorni di occupazione titina. Terminata questa con l’Accordo di Belgrado, subentrò l’amministrazione alleata (inglese), che prevedeva un Commissario di Zona (una sorta di prefetto), che sovraintendeva alla vita cittadina, mentre spettava all’apparato militare gestire l’ordine pubblico.
Il governo italiano aveva caldeggiato il mantenimento del maggior numero possibile di italiani a Pola e in Istria, per poter contare su una presenza significativa atta a garantire loro maggiori diritti. Questa raccomandazione non era gradita né a Belgrado, né a Zagabria, perchè favoriva il permanere di popolazioni che si opponevano al regime croato comunista che il nuovo governo intendeva stabilire.
A questo punto il Prof. Spazzali ha esaminato in dettaglio l’atmosfera che i polesani hanno vissuto in quell’alternarsi di speranze e delusioni circa la loro sorte prima dell’esodo in massa, in una città che, per l’isolamento subito, definisce la “Berlino dell’Adriatico”, mettendo in particolare evidenza vessazioni e pressioni esercitate per isolare gli oppositori e indurli ad abbandonare la città. È particolarmente interessante l’osservazione dell’esistenza di una strategia combinata del terrore messa in atto a Gorizia, Trieste e Pola, nell’agosto 1946, che ha il suo epilogo nella strage di Vergarolla. Di questa e dell’attentato attuato da Maria Pasquinelli vengono fornite notizie nuove ed interessanti, come anche dei preparativi per l’esodo e dell’opera meritoria di Meneghini a Pola e di Palutan a Trieste.
Il governo italiano, che amministrò Pola in questa fase, seppure non con piena autorità, dimostrò un comportamento ambiguo, per lo meno timoroso nei riguardi degli alleati.
Per esigenze di tempo il relatore si è limitato a considerare la storia di Pola in questo lasso di tempo. Va menzionato che l’ambito del libro è molto più ampio e riporta molti altri aspetti che non sono stati toccati durante la conferenza.
Claudio Fragiacomo
Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia