di SERGIO BARTOLE
Non era facile resistere alla tentazione di reagire negativamente alle prese di posizione slovene contrarie ad un'iniziativa comune di riappacificazione che includesse ad un tempo Croazia, Italia e Slovenia. Sarà vero che da noi non sono stati ancora chiusi tutti i conti con il passato fascista, ed in particolare con quelli relativi all'occupazione di Lubiana e della Slovenia durante la seconda guerra mondiale. Ma è evidente che, di fronte alla continuità fisica di una parte considerevole della classe politica slovena nel passaggio dalla Federazione jugoslava alla Repubblica indipendente, non è agevole arrivare alla conclusione che quella classe politica si è riscattata e lavata dell'eredità del regime comunista e delle sue colpe in ragione soltanto dell'acquisto della sovranità e della sua traduzione in atto in uno Stato nuovo e indipendente.
Eppure è proprio dall'attuale condizione della Slovenia quale Stato nuovo, indipendente e sovrano che bisogna muovere se vogliamo evitare giudizi frettolosi ed approssimativi del comportamento delle autorità slovene. Il tema della riappacificazione è motivo ricorrente del dibattito politico e va oltre il piano dei documenti formali adottati dalle competenti diplomazie e delle relazioni o rapporti della commissioni di studio. Già all'atto di insediare la componente italiana della Commissione mista italo – slovena per lo studio delle rilevanti questioni storiche, l'Ambasciatore Bottai, allora segretario generale della Farnesina, accennò alla possibilità che la conclusione dei lavori portasse ad un gesto significativo dei Governi dei due Paesi, ad un'iniziativa comune che andasse aldilà dell'adozione concordata di una relazione di sintesi. E negli anni quel motivo è ritornato a farsi sentire a scadenze variabili, suscitando largo interesse ed opinioni contrastanti. Tant'è che, per quanto riguarda il mondo politico italiano e quello triestino in particolare, vi è il rischio che perda di sapore e diventi ragione di ritualismi quasi professionalizzati del tipo di quelli di cui Leonardo Sciascia denunciava con preoccupazione l'insorgere nel contesto della lotta alla mafia. E per vero agli addetti ai lavori è facile accettare a parole l'idea nobile di un'iniziativa comune di riappacificazione, e poi prendere da una sua eventuale prospettiva di concretizzazione le distanze per l'inadeguatezza o la mancanza di calore delle controparti, ovvero censurare la strumentalità con la quale ogni proposta è coltivata in taluni ambienti italiani.
Come si diceva, una onesta riflessione sul tema non può non prendere le mosse dal fatto che oggi la Slovenia è uno Stato indipendente e sovrano, membro a pieno titolo dell'Unione europea. Gelosa di questa nuova condizione e conscia delle difficoltà della conservazione della sua identità, anche in considerazione delle ridotte dimensioni del suo territorio e della sua popolazione, ovviamente teme ogni passaggio, ogni iniziativa che, mettendo in discussione la sua individualità, la riporti ad associazioni o comunanze che per essa appartengono al passato. Un'iniziativa di riappacificazione che, di fronte all'Italia, la veda unita alla Croazia non può non riproporre l'idea di una comune responsabilità e con essa quella della comune appartenenza alla Federazione jugoslava.
È comprensibile che agli occhi dei governanti sloveni, e in particolare del suo Capo dello Stato, questa prospettiva riporti di attualità antichi fantasmi, cui è più facile sfuggire attraverso una gestione bilaterale dei rapporti, come è avvenuto nell'occasione dell'incontro Napolitano – Turk.
Si è fatto riferimento al quadro europeo, ed il quadro europeo ha probabilmente in mente il Presidente croato, giacché per il suo Paese ogni occasione appare buona per avvicinarsi ai futuri partner europei. Ma questa confusione dei piani va forse evitata. Non vi è ragione di legare il processo di unificazione europea ad adempimenti che non sono stati richiesti e praticati nel caso dell'ingresso di altri Stati. Anzi, l'entrata nell'Unione europea può favorire quell'interscambio fra i popoli dal quale soltanto può trarre origine la desiderata riappacificazione, facendo nascere dall'interno dei rapporti intraeuropei occasioni di gesti ed iniziative che si vogliono costruire a freddo e dall'alto. In concreto, bisogna evitare il rischio che i fantasmi del passato si facciano sentire prefigurando il progressivo ingresso in Europa degli Stati dell'ex Jugoslavia come una sorta di postuma, seppure peculiare riunificazione, e che quegli stessi fantasmi consentano alla Slovenia di nascondere dietro di essi altri motivi di preoccupazione o diffidenza nei confronti di ulteriori allargamenti dell'Unione.