Non tutti lo sanno ma le rotte dell’Adriatico, soprattutto quelle del nord furono afflitte da un particolare tipo di pirati. Non erano i tigrotti di Mompracem e tanto meno il seguito del Corsaro Nero, di Francis Drake, Barbanera o Raleigh. Furono coloro che, al soldo di Venezia, combatterono contro gli ottomani i quali, quando li vedevano, urlavano: “Mamma gli Uscocchi!”. La storia vedrà associare le loro vicende con la storia d’Abruzzo e del vate d’Italia D’Annunzio. Chi erano costoro? Mai sentiti vero?
Le loro vicende si collocano all’interno delle grandi lotte per il potere tra l’Impero ottomano, la Repubblica di Venezia e l’Impero degli Asburgo. Quale sia la derivazione del loro nome rimane un mistero ancora insoluto, si sa solamente che menavano come fabbri! Vocabolari ed enciclopedie fanno discendere l’etimo dal serbo-croato uskok, “fuggiasco”, che nel tempo è servito per indicare anche i “profughi”, “migranti”, “predatori”, “assalitori”, “disertori”, “ribelli”, “guerrieri” e “pirati”. Erano cristiani e furono il primo baluardo contro l’avanzata turca.
Furono paragonati e confusi con gli aiduchi, che animarono la resistenza interna dell’Impero turco. La parola “aiduco” origina dall’arabo haydud, cioè “brigante”. Questa sorta di partigiani vivevano nei boschi e compivano le loro rapinose gesta lungo la Stambujol, la via imperiale che da Belgrado, passando per Nis e Sofia, conduceva a Istanbul. Gli Uscocchi, a differenza di questi, non battevano le strade e tanto meno vivevano nei boschi. Il loro territorio era l’Adriatico.
Pirateggiavano il mare con delle piccole barche, le ormanice. Erano lunghe dai 10 ai 13 metri e potevano contenere dalle 20 alle 30 persone. Lo scafo era rosso nella parte che emergeva e nero al di sotto della linea di galleggiamento a simboleggiare il sangue e la morte. Siccome non issavano bandiere col teschio e tibie incrociate in questo modo erano riconoscibili. Le loro forze navali si raggruppavano in “ceta”, una sorta di formazione militare, guidate da un vojvoda.
Il termine Pirata indica l’attività dei marinai che depredano o affondano le altre navi in alto mare, sia nei porti, che sui fiumi. Il Corsaro, invece, era una persona al servizio di un governo. Cedeva a questi parte del bottino, ottenendo in cambio lo status di combattente. Lo stato gli consegnava una lettera (lettera di corsa) e la sua bandiera: insomma una sorta di patente. Protetto, in questo modo, poteva rapinare le navi mercantili nemiche e uccidere solo in combattimento. Alla fine della fiera, la differenza fondamentale tra pirati e corsari è che al momento della cattura i corsari erano considerati prigionieri di guerra e i pirati, invece, giustiziati là per là. Ma veniamo a tempi più recenti.
Siamo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo. I Balcani vedono l’occupazione degli Ottomani e molti cominciano a scappare. Alcuni arrivano in Dalmazia ed altri, attraversato l’Adriatico, si stabiliscono in Abruzzo e in Molise. Trovano rifugio a Lanciano, Santa Maria Imbaro e pure nel Teramano per cui, attenzione, nel sangue degli abruzzesi non scorre solo quello dei placidi pastori “che lascian gli stazzi e vanno verso il mare” ma anche quello di temibili pirati e non siamo ai Caraibi!
Dopo una ottantina d’anni di profitti i nostri uscocchi si posero sotto la protezione del duca d’Ossuna che conferì loro patenti per potersi aggirare liberamente nel Regno di Napoli. Da pirati erano diventati corsari con grande preoccupazione del confinante Stato Pontificio.
Pensate che il cognome Scocco risale al croato uskok, “transfuga” o meglio, “popolazione in fuga”. Scappando dai Turchi li ritroviamo soprattutto a Francavilla, Chieti e Penne. Considerando che esistono, in quei luoghi, molte famiglie distinte da questo cognome è lecito ritenere che diversi Uscocchi s’insediarono nell’entroterra e trovarono occupazione nell’agricoltura.
Ma gli uscocchi li rivedremo, sempre pirati, in tempi più moderni. Dopo l’impresa di Fiume ad opera di Gabriele D’Annunzio, la “Reggenza del Carnaro” dalle vedute alternative se la passava maluccio e di che cibarsi manco a parlarne. C’era il blocco navale e terrestre imposto a Fiume e la popolazione, quanto a fame ne aveva di che vendere.
Ed ecco che il Vate trasforma i suoi legionari in pirati, chiamandoli poeticamente “uscocchi”. Che poi gli Uscocchi chi li conosceva? Qualcuno, pensando fosse un epiteto da burletta si sentiva pure offeso:
– Stia zitto, uscocco! –
– Stia zitto lei, subornato!–
Il primo bastimento dirottato a Fiume dai novelli pirati fu il “Persia” nell’ottobre del 1919; portava un carico di armi destinato alla Russia. Il piroscafo, svuotato, fu restituito dietro riscatto di 12 milioni di lire rastrellate da alcuni imprenditori capeggiati da Senatore Borletti, proprietario della “Rinascente” e amico del Poeta.
Il cacciatorpediniere “Bertani” fece seguito al Persia e successivamente i mercantili “Baron Fejervary” battente bandiera ungherese, “Trapani” e “Cogne”. Quest’ultimo, dal nome salito tristemente agli onori della ribalta a causa di un ripugnante omicidio, era di proprietà della società di navigazione Ansaldo di Genova. Trasportava materiale il cui valore si aggirava sui 200 milioni di lire da consegnare in Argentina. Ci pensarono gli italici “uscocchi” a dirottarlo a Fiume nell’ottobre del 1920. Stavolta i pirati Fiumani restituirono anche il carico della nave non prima di aver ricevuto in cambio un cospicuo riscatto.
Nell’aprile del 1920 i nostri “prelevarono abusivamente” una cinquantina di cavalli da tiro del Regio Esercito. Le autorità militari italiane minacciarono di ricorrere a una pesante rappresaglia ottenendo, così, la restituzione degli animali. Oddio non proprio quelli: si videro recapitare altrettanti ronzini malandati e magrissimi buoni nemmeno per il brodo.
Non paghi i D’Annunziani uscocchi catturarono un generale italiano, Arturo Nigra, comandante della Quarantacinquesima divisione. Smaltita la brutta figura, l’esercito italiano riebbe indietro l’ufficiale ma solo dopo che costui ebbe rilasciato dichiarazioni di apprezzamento per i suoi rapitori e di ammirazione per D’Annunzio.
I Fiumani requisivano per lo più materiali di proprietà del governo italiano. Restituivano o rifondevano attentamente quanto apparteneva ai privati. Vigilava sulla correttezza dell’ ”opera” il “dittatore ai viveri”, colonnello Vittorio Margonari responsabile dei servizi di commissariato e contabilità della Reggenza. Si autodefiniva, con ironia, “il ricettatore Margonari”. A partire dal gennaio 1921, terminata l’impresa fiumana e con il ritiro del “Grande Uscocco” D’Annunzio (così lo chiamavano i legionari) non si sentì più parlare di pirateria “made in Italy”.
In Croazia, oggi, si chiama Uskok un organismo di polizia, specializzato in indagini sulla corruzione e la criminalità organizzata. E’ stato costituito nel dicembre 2001 e il suo quartier generale si trova a Zagabria. Sic transit gloria mundi: da pirati e delinquenti a tutori delle forze dell’ordine. Ora conosciamo la storia dei terribili corsari abruzzesi che non sfigurarono al confronto dei pirati di Port Royal, Antigua e Barbados.
Fonte: Espressione24 – 01/01/2023