Ogni anno il Comitato provinciale di Gorizia dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia partecipa con commozione alle celebrazioni del 3 maggio e del 12 giugno, inizio e fine dell’occupazione di Gorizia da parte dei partigiani comunisti jugoslavi, e ogni anno, nel Giorno del Ricordo, ascoltiamo le motivazioni dei riconoscimenti alle famiglie delle vittime di allora, di uomini e donne, adulti e ragazzi, vecchi e giovani che furono imprigionati e uccisi. Molti furono gettati nelle foibe, moltissimi altri furono fucilati, percossi a morte, o morirono di malattie e di stenti in campi di prigionia. Vittima di quelle atrocità fu per la maggior parte la popolazione civile, che dovette subire uccisioni, deportazioni e incarcerazioni a guerra finita.
Queste violenze, che provocarono migliaia di vittime, non possono essere interpretate soltanto – come pure avvenne effettivamente in alcuni casi – come una rivalsa politica, una vendetta nei confronti del fascismo e dei collaborazionisti, oppure come una jacquerie, una rivolta “popolare”, spontanea, contro la borghesia italiana.
Deve essere ripetuto, se serve, anno dopo anno, che le deportazioni e le uccisioni avvenute a Gorizia a guerra finita non hanno avuto nulla a che fare con la Resistenza. Furono deportati e uccisi fascisti e antifascisti – componenti del Comitato di Liberazione Nazionale come Olivi e Sverzutti – dirigenti, funzionari pubblici, professionisti, imprenditori, commercianti, carabinieri, finanzieri ed agenti di polizia rimasti al loro posto per svolgere le loro funzioni, ma anche operai e artigiani, indipendentemente dalla classe sociale o dall’ideologia politica.
Gli studi di storici e ricercatori hanno infatti ampiamente dimostrato che le foibe e in generale tutte le uccisioni furono una forma di epurazione preventiva della società giuliana – una prassi utilizzata anche dai sovietici, per esempio nei confronti dei polacchi, a Katyn-, il risultato di decisioni prese ad alto livello per eliminare fisicamente tutti coloro che, avendo qualche influenza nel contesto sociale, non condividevano le dottrine comuniste o, pur condividendole, erano potenzialmente ostili alla politica di Tito. Va quindi riconosciuto che una gran parte delle vittime è morta non per colpe personali ma perché poteva costituire un possibile ostacolo ai progetti di instaurare un regime comunista, in quel momento fedele a Stalin.
Maria Grazia Ziberna
Presidente del Comitato provinciale di Gorizia dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia