GORIZIA. C’è voluto oltre mezzo secolo ma a quanto pare anche a Gorizia la palla della storia viene rimessa a centrocampo. Le dichiarazioni di Semolic e di Ziberna offrono alla città un poderoso contributo a smettere i laceri panni dell’ideologia e indossare quelli più consoni e puliti della cultura del fare e della capacità di collaborare. Sta diventando sempre più imbarazzante per Gorizia essere ancora oggi etichettata come la città dei monumenti, che rappresentano sì un giusto omaggio al sacrificio di tanti uomini, ma sono troppo spesso usati come totem su cui sfogare rancori.
L’esperienza purtroppo induce alla cautela. Non basteranno certo le dichiarazioni di Ziberna e Semolic a sanare decenni di rapporti tra le comunità italiana e slovena di Gorizia corrosi dai veleni sgorgati dal secondo dopoguerra. La storia della città è ricca di occasioni mancate, a cominciare da quelle relative proprio alla «pacificazione». Basta andare nell’archivio storico della nostra redazione per scovare una dichiarazione che l’allora sindaco Pasquale De Simone – esule da Pola – fece il 5 maggio del 1980 all’indomani della morte di Tito: «al lutto doloroso, si accompagna la consapevolezza della gravità della perdita per la comunità internazionale che al buonsenso politico e alla saggezza dell’eminente statista jugoslavo deve molta parte dell’equilibrio che in questi anni ha consentito di vivere e di progredire nella pace». Parole coraggiose, puntualmente rimosse. Dopo 29 anni forse è la volta buona. (r.c.)