ANVGD_cover-post-no-img

Guerre stellari di Bracco da Neresine a Milano per conquistare l’Italia (Il Piccolo 27nov12)

«Con la fine del conflitto mondiale, nel 1945, altre difficili prove ci attendevano. Sapremo superarle…». Fulvio Bracco, quando scriveva questa frase nel suo diario, nel 1945, aveva 36 anni. Da poco meno di vent’anni, con la sua famiglia, aveva lasciato il paese sull’isola di Lussino nella quale era nato: Neresine. E dalla firma del Trattato di Parigi, nel 1947, non ci sarebbe più tornato. Ormai anziano, ha lasciato scritto: «Oggi che i miei molti anni mi fanno compagnia con i loro ricordi, vivo ancora più intensamente i sentimenti che mi legano all’Istria. Il Trattato di Parigi del ‘47 aveva significato per la mia famiglia un taglio doloroso con Neresine. Nessuno di noi poteva rimettere piede su quelle terre – l’Istria, Fiume, la Dalmazia – consegnate a Tito…». Ma alla sua Neresine, chi sa fino a che punto ne era consapevole, mi ostino a pensare che non lo legassero solo la nostalgia e i ricordi – gli scogli bianchissimi, il mare verde e trasparente nel quale si specchiavano e continuano a specchiarsi, inginocchiandosi davanti a lui, i pini piantati dall’Austria – ma persino qualcosa di più e di più profondo.

 

C’è tanto di Neresine in quello che ha saputo costruire: è in quel “piccolo puntino bianco in mezzo al mare azzurro” [ndr: nell’Introduzione al volume, le figlie del grande industriale farmaceutico lo ricordano così] che sicuramente si è formato il suo carattere, sono venuti anche da lì la forza, l’entusiasmo, la tenacia, il coraggio, la capacità di non arrendersi, quel suo bellissimo “sapremo superare le difficili prove che ci attendono”. Perché non è vero che, nascendo e poi crescendo, somigliamo solo a nostro padre e a nostra madre. Somigliamo anche inevitabilmente alla terra, ai sassi, al vento che ci hanno accolto nascendo: dell’Istria, i suoi figli, portano le stimmate persino nella fisionomia, nei tratti aperti ma decisi dei volti, quasi scavati dalla bora com’è per gli alberi di ulivo che nascono e crescono a fatica su quelle terre.

 

E mentre penso e scrivo, guardo naturalmente le foto che ritraggono Fulvio Bracco, prima bambino, poi giovane, uomo maturo, e dopo ancora anziano, lo guardo quando nelle fotografie è serio e concentrato, o quando si apre in un bellissimo sorriso che mi sembra di poter leggere quasi disarmato, e mi succede di affiancare alla sua immagine quella di altri istriani o dalmati come lui. Ripasso con la memoria, un po’ a caso e in totale disordine, le immagini di Ottavio Missoni (per carità non confondiamo i dalmati, come lui, con gli istriani…) e lo rivedo soprattutto ai tempi della sua giovinezza nello slancio felice della corsa alle Olimpiadi di Londra del ’48, così come rivedo il volto di Sergio Endrigo, quello di Fulvio Tomizza, e li sovrappongo arbitrariamente alle foto dei componenti della famiglia di armatori lussignani, i Cosulich, ai Luzzatto Fegiz, ai Luxardo, ma anche a Mila Schön o Alida Valli , a grandi o grandissimi campioni sportivi come Nicolò Rode, Agostino Straulino e Nino Benvenuti… E sì, che in qualche modo tutti si somigliano tra di loro. C’è qualcosa che li accomuna. Le comuni radici.

 

Rivedo tutti a memoria, uno ad uno, i campioni d’industria, dello sport o della moda, gli artisti, gli scrittori, ripercorro i tratti comuni delle loro fisionomie, e dentro, lentamente, mi cresce una grande voglia di dire grazie: grazie a tutti questi uomini e queste donne che, provenendo dalla mia stessa terra e, in un modo o nell’altro, dalla mia stessa storia, hanno saputo restituire agli istriani come me, come ai dalmati, insieme alla nostalgia per i loro paradisi perduti, anche l’orgoglio della propria identità, che non è, e non è giusto che sia solo in uno statuto di vittime. Un’identità speciale, quella istriana e dalmata, («sono un italiano speciale», scriveva di sé con amarezza e ironia Quarantotti Gambini) che attraversa orizzontalmente tutto un popolo, persino senza distinzione tra ricchi e poveri, tra grandi personalità e gente comune: gente abituata a combattere, a non arrendersi, ad arrampicarsi, come le capre che ne sono il simbolo, per superare ostacoli e difficoltà.

 

«Altre difficili prove ci attendevano… Sapremo superarle», come scriveva e diceva nel lontano 1947 Fulvio Bracco affrontando le Guerre Stellari che avrebbero portato l’azienda da lui fondata nell’empireo delle grandi aziende familiari italiane. La forza, ma non solo: anche la dignità, la fiducia in se stessi e più in generale nella vita, il coraggio, forse più istriano che italiano, del contare soltanto sulle proprie forze, il rispetto di se stessi e degli altri (i suoi lavoratori e ricercatori), l’umanità, il culto dei valori famigliari. E delle radici, mai dimenticate.

 

Persone come Fulvio Bracco fanno parte della storia: la storia bella, grande, del nostro paese, storia di istriani che fanno onore all’intero nostro Paese. E se sono fiera di una persona grande come Fulvio Bracco, lo sono però anche della mia bisnonna che è cresciuta guardando il suo stesso mare, riparandosi dal suo stesso vento. Me lo chiedo, certo: chi sa se si sono mai conosciuti, incontrati su un sentiero di Neresine, quella mia Nadalina povera e allegra, e magari, per mano al padre Elio, quel Fulvio allora bambino, che poi sarebbe diventato un capitano d’industria che tutto il mondo ha ammirato e giustamente onorato. In fondo, in una comunità che all’epoca contava meno di duemila abitanti, non è impossibile immaginarlo. Chi sa se si sono scambiati un sorriso, o magari da parte di lei, che già allora aveva molti anni di più di lui, una carezza. È un pensiero, o quanto meno una fantasia, che mi piace. Mia nonna, nel ’46, è scappata dalla sua Lussino senza tornarci mai più. E io, quando torno a Lussino, nella sua piccola piccola casa di pietra davanti al porto, guardo dalle sue finestre lo stesso spicchio di mare che vedevano i suoi occhi azzurrissimi. Il resto, che riguarda il “dopo” della vita di Fulvio Bracco, è Milano, l’Italia, dopo l’Italia, l’America, e il mondo intero: appartiene alla realtà, ed è una realtà di cui andare orgogliosi.

 

Anna Maria Mori

“Il Piccolo” 27 novembre 2012

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.