di ALESSANDRO MEZZENA LONA
La fantasia al potere la inventò lui. Quarant’anni prima del Sessantotto. E in fatto di droghe, prostituzione, omosessualità e matrimonio dei preti aveva idee di gran lunga più moderne dei politici del Duemila. Insomma, gli storici dovranno proprio rivedere il loro giudizio su Gabriele D’Annunzio. E sull’impresa di Fiume, liquidata troppo in fretta come una reazione alla ”vittoria mutilata” della Grande guerra. Come un’anticipazione della marcia su Roma, del ventennio fascista.
Il momento buono per riaprire gli archivi e studiare più a fondo l’impresa di D’Annunzio capita proprio in questo 2009. A novant’anni dall’avventura fiumana, infatti, libri, mostre, convegni si apprestano a riformulare il giudizio. Mettendo da parte la retorica e raccontando davvero quante idee rivoluzionarie, anticipatrici, modernissime, circolarono in quel lembo d’Europa tra il 1919 e il 1920.
Un’occasione per fare il punto sugli studi storici dedicati a Fiume la fornirà il Festival èStoria di Gorizia. Venerdì 22 maggio infatti, alle 18, su ”1919. L’impresa di Fiume” dialogheranno Giordano Bruno Guerri e Francesco Perfetti, coordinati da Alessandro Barbero.
Giornalista e docente universitario, collaboratore del ”Giornale” ed ex direttore della rivista ”Storia Illustrata”, autore di libri come ”Giuseppe Bottai: un fascista critico”, ”L’Arcitaliano. Vita di Curzio Malaparte”, ”Patrizio Peci. Io, l’infame”, ”Povera santa, povero assassino”, ”D’Annunzio, l’amante guerriero”, ”Filippo Tommaso Marinetti”, dice Guerri: «Il Festival di Gorizia sarà un momento importante per chiarirsi le idee sull’impresa di Fiume. A metà maggio, poi, ci sarà un convegno a Roma. Io voglio organizzare almeno tre incontri di studio al Vittoriale tra l’autunno di quest’anno e la primavera del 2010. Forse anche Milano si muoverà per mettere in piedi un evento. In più sto pensando anche a una mostra dedicata a D’Annunzio e Marinetti».
Solo retorica su Fiume?
«Non c’è mai stato un vero interesse nei confronti dell’impresa di Fiume – dice Giordano Bruno Guerri -. Anzi, credo che l’episodio sia stato stupidamente rimosso. Al massimo l’hanno letto come un’anteprima del fascismo, sbagliando».
Perché?
«Semplice, perché il fascismo si sarebbe affermato anche se l’impresa di D’Annunzio non ci fosse mai stata. Anche se Filippo Tommaso Marinetti non avesse inventato il Futurismo».
Ma a Mussolini, l’impresa di Fiume insegnò qualcosa.
«Fiume fu per Mussolini la prova che lo Stato poteva essere sfidato e vinto. Del resto, non è un segreto che in quel momento l’Italia dimostrò tutta la sua debolezza. E poi si comportò in modo sbagliato. Cercò il compromesso, scelse l’ipocrisia, per poi arrivare al finale tragico del famoso ”Natale di sangue”. Quando, nel dicembre del 1920, il canoneggiamento della Regia Marina mise fine all’avventura di D’Annunzio».
Si è sempre parlato di reazione alla ”vittoria mutilata” nella Grande guerra…
«Io direi che è arrivato il momento di dare una lettura nuova dell’impresa di Fiume. Finora si è parlato di nazionalismo, di bellicismo. Io credo, invece, che l’impresa di Fiume abbia precorso per molti versi il pacifismo terzomondista della seconda metà del Novecento».
Una sfida all’ordine politico-militare del tempo?
«Non bisogna dimenticare che a Fiume prese forma una Lega per rappresentare i popoli oppressi e per dare voce alle nazioni coloniali più deboli. Quelle, insomma, che non venivano mai prese in considerazione dalle grandi potenze. Un’idea che si sarebbe affermata più tardi, al tempo della guerra fredda».
Un’idea modernissima?
«Così come modernissima, anticipatrice del Sessantotto, fu la Fiume libertaria. Nessuna città al mondo ha goduto di tanta apertura di idee. Erano rispettate le scelte individuali più diverse: dall’omosessualità alla prostituzione, al divorzio, all’aborto. Purtroppo anche alle droghe, di cui allora non si conosceva forse l’esatta pericolosità».
Sembra quasi la fantasia al potere…
«Ma lo era. A Fiume si affermò la fantasia al potere. Non a caso il suo comandante era un poeta, un uomo abituato a giocare con la fantasia. Inventò addirittura quelle veloci unità navali, che garantivano i rifornimenti ai legionari, chiamandole come gli uscocchi, leggendari pirati dell’antichità. Ma c’è ancora una cosa che rende l’esperimento di Fiume estremamente attuale dal punto di vista sociale».
E sarebbe?
«La carta costituzionale del Carnaro. Un documento che anticipa le costituzioni più avanzate. E poi non bisogna dimenticare la quantità di giovani, di intellettuali, di avventurieri che richiamò D’Annunzio a Fiume. Quello fu uno dei primi esempi di solidarietà internazionale».
Fu anche un incredibile esperimento di convivenza?
«Sì, perché all’interno della città, durante l’occupazione, convivevano gli stessi popoli che al di là di quel confine erano ostili tra loro».
L’avventura di Fiume faceva paura, doveva finire?
«Certo che quello che stava accadendo a Fiume faceva tremare le gambe a più d’uno dei potenti. Non ultima la Chiesa. Lì, ad esempio, alcuni conventi di cappuccini precorsero di gran lunga il Concilio Vaticano II, rivendicando una maggiore democrazia e partecipazione all’interno della struttura ecclesiastica. Qualcuno arrivò a rivendicare il matrimonio dei preti. Ci fu, insomma, una fiammata del modernismo cattolico».
Il suo ritratto di Fiume ricorda molto quello di certe rivoluzioni..
«Era un esperimento rivoluzionario. Perché disturbava gli equilibri faticosamente raggiunti dopo la Grande guerra. In più, D’Annunzio era un comandante decisamente imprevedibile, ingestibile».
Si potrebbe fare un parallelo con le grandi utopie del passato?
«Non mi piacciono i parallelismi con altre insurrezioni, con altre rivoluzioni del passato. Certo, potremmo trovare analogie, ma ogni episodio della Storia fa poi parte per sé».
Gli storici, insomma, non hanno capito niente?
«Il problema è che gli storici sono molto pigri. Hanno accettato una versione di comodo: quella, cioè, dell’impresa di Fiume come una risposta alla ”vittoria mutilata”. E non vanno a leggere i documenti, non approfondiscono. Al contrario, io credo che non ci dobbiamo spaventare se vengono messe in discussione alcune verità accettate, ma pur sempre parziali».