È un libro straordinario, giunto alla seconda edizione. Oltre che su ricerche storiche molto orientate negli archivi pubblici l’Autore, per scriverlo, si è basato su un’ampia serie di collezioni familiari, ricche di documenti esclusivi. Si potrebbe dire che il testo è nato dentro i ricordi e tra i vissuti socio-familiari dei carabinieri sopravvissuti e tra i discendenti delle vittime, dato che lo stesso A. è figlio di un carabiniere ucciso in una foiba dagli jugoslavi.
Franco Miccoli, Carabinieri a Gorizia 1942-1945 Memorie degli anni bui, Istituto Regionale per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, Trieste 2013 (nuova edizione 2021)
Un mio amico, docente universitario, mi ha detto: “È meglio un elaborato composto da ricerche d’archivio, memoriali e testimonianze di familiari di carabinieri scampati al massacro, raccolti per decenni, come ha fatto Miccoli, piuttosto che la conferenza soporifera di dieci luminari d’ateneo prossimi alla quiescenza”. Io non so se sia vero, ma lo studio dell’A. è davvero esemplare, per l’approccio metodologico e per le tecniche di ricerca.
Nel libro sono evidenziati il compito e le prodezze dei carabinieri di Gorizia dal 1942 al 1945. Si tratta di 397 effettivi nel capoluogo e in provincia (p. 119). Con una precisa ricerca storica e memorialistica, l’A. esamina una pagina, quasi sconosciuta, della storia dell’Arma nella zona che va da Gorizia ad Aidussina in un periodo complesso come quello della guerra alla Jugoslavia e dell’occupazione nazista. Allo stesso tempo c’è la presenza delle forze partigiane slovene e dei garibaldini comunisti italiani. Ci sono, infine, le deportazioni di molti carabinieri finiti in foiba o nei gulag di Tito, come nelle baracche di Borovnica.
Paesi bruciati per rappresaglia – Il volume si apre con l’eccidio di Ustje, paesino presso Aidussina, dove certi alpini del Battaglione Val Cismon, per ripicca, spararono alla schiena del maresciallo dei carabinieri comandante della locale stazione. Il delitto venne poi addossato su alcuni “ribelli” sloveni e per rappresaglia gli italiani incendiarono il paese. Era l’8 agosto del 1942 (p. 31). L’A. mediante memoriali e fonti orali della gente locale, anche familiari, offre una lettura vasta e convincente di un episodio noto in letteratura, ma mai approfondito dalla pubblicistica italiana. Poi, seguendo le vicende della città, dall’armistizio fino alla tragiche giornate dell’occupazione titina, vengono rilevati molti episodi e fatti notevoli. C’è un intreccio di famiglie e di comunità inclusi gli accadimenti riguardo al Comitato di liberazione nazionale di Gorizia. La Resistenza è analizzata mediante l’azione dei carabinieri del Gruppo di Gorizia, considerati “badogliani”, poiché fedeli al Re. Essi, come pure i militi di Trento, riuscirono a rimanere al loro posto salvaguardando l’autonomia, l’unità del reparto, la divisa e le mostrine. Miccoli, figlio di un milite dell’Arma deportato e scomparso, mette in evidenza come i carabinieri non rinunciarono mai al loro ruolo di istituto, fosse da rapportarsi ai tedeschi (dell’Adriatisches Küstenland) o alla milizia fascista. La difesa dai soprusi venne riconosciuta anche da parte degli sloveni, un po’ meno dai partigiani di Tito. Si ha conferma di ciò nel cruento scontro a fuoco con i cetnici (retroguardia serba dei nazisti in ritirata) a Vipulzano, nel Collio, dove un gruppo dell’Arma venne abbandonato al suo destino proprio dai partigiani titini che nulla fecero, nonostante le promesse di soccorso. C’è da dire che molti carabinieri, prigionieri nel campo jugoslavo di Borovnica, vennero liberati nel giugno 1945 per intervento di un ufficiale dell’Ozna (servizio segreto jugoslavo), probabilmente su pressione degli alleati, che riconoscevano ai carabinieri di Gorizia un ruolo di collaborazione fattiva nei confronti della Resistenza, come riportato dai giornalisti del «Piccolo» in occasione della presentazione pubblica del volume nel 2014.
Roberto Spazzali, nell’Introduzione, ribadisce il fatto che “in Istria le forze insurrezionali armate erano state guidate da elementi giunti dalla Croazia” (pag. 25). Sempre riguardo ai partigiani venuti da fuori è riferito che nel 1943: “ci accorgemmo dell’arrivo dei partigiani del sud: serbi, croati, bosniaci quando incominciammo a trovare i nostri soldati spogliati ed uccisi all’arma bianca”. Sul corpo di un caduto furono contate 41 ferite di coltello (p. 39). Assieme a forze partigiane addirittura a Gorizia è avvistato un “colonnello russo” il 10 settembre 1943 in compagnia del maggiore inglese Williams Jones per contatti con i carabinieri, fedeli al Re (p. 54). Mentre i carabinieri di Trieste vennero arrestati, reclusi al Silos e deportati in Germania, quelli di Gorizia, dopo lo sbandamento, rientrarono quasi tutti al reparto e non successe nulla (p. 60).
Massacro titino del maresciallo – È ben descritta l’orrenda sorte del maresciallo Sebastiano Costanzo, comandante dei Carabinieri di Comeno, oggi Komen, in Slovenia. Fermato dai partigiani titini sloveni penetrati in caserma il 9 settembre 1943, fu picchiato e seviziato. Si divertivano a sparargli dallo spioncino. Spogliato, sbeffeggiato, fu condotto per le strade del paese. Dove era già esposta la bandiera jugoslava, gli fu imposto di inginocchiarsi, ma rifiutò. Così fu violentemente percosso fino a cadere in ginocchio. Allora gli fu imposto di baciare la bandiera, ma rifiutò. Disperato, anzi sputò sul vessillo. Fu avvolto nel filo di ferro e gettato nella foiba di Preserje, presso Comeno. La salma fu recuperata dai pompieri di Trieste nell’ultima decade di ottobre 1943, assieme ad altri sette corpi italiani (p. 59). Azioni simili derivano da un odio granitico e succoso allo stesso tempo, come nella tragedia greca dell’Antichità?
Fatti allontanare certi ufficiali, troppo orientati al Governo Badoglio e, quindi, fiancheggiatori della Resistenza, nel capoluogo i carabinieri si consideravano, sulla base del diritto internazionale, corpo di polizia di uno stato occupato, ossia dell’Adriatisches Küstenland del Terzo Reich (p. 68). Intrapresi i contatti con i partigiani, pur rischiando la fucilazione da parte nazista, il 4 agosto 1944, ci furono gli attentati alla stazione di Montesanto. Il sabotaggio ferroviario, realizzato tra carabinieri, partigiani italiani e un reparto di partigiani sloveni comandati da un capitano polacco, non destò sospetti tra i tedeschi (p. 128).
Il 29 aprile 1945 i tedeschi si ritirarono. I carabinieri di Gorizia restarono uniti al loro posto. Il gruppo più numeroso si diresse verso il Collio, come richiesto dal CLN e dal Comitato misto italo-sloveno, ma senza la promessa copertura ai fianchi da parte dei partigiani jugoslavi, i quali invece erano molto interessati alle armi pesanti dell’Arma (p. 162). Il 30 aprile si svolse la battaglia di Vipulzano tra i carabinieri, coadiuvati da qualche partigiano italiano, contro i cetnici, la pittoresca retroguardia nazista, dotata comunque di mortai. I carabinieri, nel tentativo di ripiegare a Vedrignano, sbandarono e 14 di loro furono catturati dai cetnici e martirizzati all’arma bianca (p. 166).
Ai primi di maggio del 1945, dopo il transito degli squilibrati cetnici, è descritto il primo reparto partigiano jugoslavo in entrata a Gorizia. Armati e in fila indiana lungo il Corso, erano accompagnati da alcune vivandiere. Li precedeva “una donna che camminava portando un palo di acacia – un pal de vigna – con sopra la bandiera jugoslava con la stella rossa” (p. 170). È citata la mira annessionistica jugoslava fino al fiume Tagliamento, in Friuli (p. 173).
I carabinieri del posto di blocco di Salcano, il 7 maggio in armi, in divisa e con lasciapassare partigiani, raggiunsero la tenenza di Gradisca, presidiata dagli Inglesi. Fu il primo reparto in Italia ad espletare il servizio di “Military Police” con gli alleati. Tragica sorte capitò invece ai sette carabinieri ritiratisi a Vipulzano e portatisi, o spinti furbescamente, fino a Canale d’Isonzo. Fermati da partigiani jugoslavi, furono colà massacrati. I loro resti, segnalati dalla popolazione locale, vennero recuperati nell’estate del 1945 a Villa Morska di Canale. I loro corpi presentavano varie fratture e alcuni di essi erano persino decapitati (p. 180). Quelli rimasti in caserma a Gorizia, assieme ad altri rientrati dopo i combattimenti di Vipulzano, vennero arrestati dai titini e deportati in Jugoslavia. Coloro che avevano prestato servizio ad Aidussina furono ammazzati in zona, secondo testimonianze locali degli anni Cinquanta. I loro resti umani sarebbero nella fossa comune di Babnik, a sud di Aidussina, oggetto di recupero salme del 2002, atto comunque da completare (p. 182).
Dopo maltrattamenti e violenze subite nel campo di concentramento titino di Borovnica, il 30 giugno 1945 furono liberati 56 carabinieri di stanza a Gorizia, che si portarono fino a Udine e di lì furono accompagnati a Padova, il cui comandante, il 4 luglio 1945, scrisse che: “Le loro condizioni veramente pietose hanno richiesto immediate cure sanitarie ed ogni assistenza possibile da parte di questa Legione” (p. 194). In conclusione, i carabinieri di Gorizia restarono al loro posto, tennero orgogliosamente la loro divisa, con tanto di alamari e stellette, rifiutando di indossare quella delle Waffen SS, o la camicia nera della RSI.
Cenni bibliografici del recensore – Lucio Fabi, Storia di Gorizia, Padova, Il Poligrafo, 1991.
– Franco Femia, “E i carabinieri di Gorizia lottavano per la libertà”, «Il Piccolo», Cronaca di Gorizia, 21 marzo 2014.
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Recensione di Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Lettori: Sergio Satti, Marco Birin, Livio Zucca, Daniela Conighi e il professor Enrico Modotti. Aderiscono il Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e l’ANVGD di Arezzo. Ricerche e Networking di Maria Iole Furlan e E. Varutti. Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine. Si ringrazia per la collaborazione riservata l’architetto Franco Pischiutti (ANVGD di Udine).
Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, con sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/
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