di ARIANNA BORIA
TRIESTE «Signore, vardè che mi tegno due posti». Soffia il vento della storia in piazza Unità, tra ventagli, ombrellini, bottigliette di thè, sedie da picnic, piccole borse con generi di conforto nascoste tra i piedi, in una selva di sandali dorati, qualche tacco discreto, polpacci abbronzati e piantati sulla posizione guadagnata. Il popolo di Muti, in prevalenza femminile, non giovanissimo ma coriaceo, si è messo in coda prima delle sei, sotto un sole ancora implacabile. Tre file, più robuste man mano che i minuti passano, in corrispondenza dei varchi ”bianchi”, quelli riservati a chi, di file, ne ha sperimentata una pochi giorni prima, per conquistarsi l’agognato biglietto. Ed è questo il principale argomento di conversazione nell’ora e mezza di attesa che separa gli irriducibili dalle sedie, blu, rosse e nere, allineate verso mezzogiorno da una pattuglia di giovanotti bendati come beduini, plastica ormai bollente dai raggi immagazzinati tutto il giorno.
Tra la gente, refrain da studio medico. Si conversa con simpatia, ma si scruta che il vicino non scavalchi, non avanzi. «Mi calcolavo de spetar ancora undici ore, poi xe rivà Dipiazza, meno mal, el podeva vignir prima». «Son rivà verso le sete, ma mio cugin xè andà alle cinque e me gà tignù el posto». «Poi, se sa, xe sempre i soliti furbi, gli amici dei asesori, quei i biglieti li gaveva prima…».
Passa un gruppo di giovani e bionde coriste croate che sembrano indossatrici, tutte in bermuda e canottiera, riconoscibili solo dal gigantesco pass nero sulla tenuta da spiaggia. «Abbiamo provato gli stacchi poco fa – racconta un talento del ”Tartini” – e il maestro Muti ci ha strigliato. Ci ha detto: siccome qua c’è un c… che dirige, cercate almeno di sbagliare tutti assieme…». Tra le sedie passano le hostess, tailleur ciliegia e maglietta nera, distribuiscono i programmi, riservati solo a quanti si siederanno. Un signore abbozza una richiesta, viene scoraggiato gentilmente. I custodi dei varchi, in completo scuro e auricolare, sudano come bagnini e, in automatico, rispondono a centinaia di domande tutte uguali: per di qua se ha un certo biglietto, carta d’identità in mano, di là solo ospiti e giornalisti…
Alle sette un quarto, primo sussulto. Sul palco il coro intona brani del programma. L’inno italiano sale dal fondo, ringalluzzisce gli astanti, strappa l’applauso. Poi, magicamente, i varchi si aprono, e una corsa di tacchi, lieve ma implacabile, si rovescia sulle prime file. «Muti a Trieste quando lo rivedremo mai? Siamo qui per lui e per la musica di questi giovani», si schermisce una signora, capocordata in coda e autentica velocista, lievemente ansante sulla sua sedia blu, posizione centrale e strategica.
Dopo le otto la piazza cambia pelle. Arriva il popolo dell’evento, della ”soirée”, le signore ”di”, in scuro la nomenclatura di centrodestra e con orecchini come narghilè. Tra le prime, a far gli onori di casa nella gran serata di Roberto, una leggiadra Rossella Gerbini, first lady di piazza Unità, tutta risucchiata in una guaina nera con stola che avvolge le spalle e microborsetta rigida che pare un contenitore di munizioni. Nel quadrante dei vippissimi, il vescovo Crepaldi e don Malnati, suo vicario della cultura, intrecciano amabili conversazioni, e fanno sapere che la Chiesa triestina ”c’è”: oltre il recinto i ”bandelli’s” fanno lo stesso, cioè dicono che anche loro ci sono, alla faccia dei diktat degli ex amici aennini: «Sono l’unico ex missino», s’inorgoglisce Sulli, sfoggiando una cravatta con i dromedari, simbolo dell’Eritrea, sua seconda patria, mentre si è già accomodato Porro, in informale completo color carta da macellaio.
Comincia il conto alla rovescia e si infittisce il parterre, dove il chi c’è e chi non c’è vola come una trina: volant blu, il colore dell’anno, per l’assessore Vlach, un filo di paillettes sulla maglietta della signora Camerini, con un abbacinante paio di pantaloni bianchi il consigliere regionale Zvech, in total black un po’ Matrix il presenzialissimo Rovis. La marchesa Carignani osa un completo pantalone bianco con pizzo a velare il décolleté, una nuvola scortata dell’ex europarlamentare Rossetti fino al limite dei posti d’onore, confine liquido ma intransitabile.
La piazza vibra, si gonfia, pare pulsare come la giacca protocollare di Dipiazza. È la notte dell’amicizia, di Muti, della musica, una notte molto sua.