di Carlo Figari
Il 10 febbraio si celebra la Giornata del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe. Tra l’ottobre del 1943 e il maggio del 1945 almeno cinquemila italiani (ma forse molti di più) furono uccisi dai partigiani comunisti di Tito. Catturati nei luoghi di lavoro e nelle abitazioni, vennero imprigionati e poi gettati ancor vivi nelle cavità carsiche, chiamate foibe. Militari, finanzieri, marinai, maestri elementari, impiegati comunali e minatori. Bastava essere italiani per finire nella lista nera. Tra le vittime oltre un centinaio di sardi, in parte minatori del Sulcis trasferiti dall’Acai (Azienda Carboni italiana) di Carbonia ai pozzi della società Arsa in Istria. Per mezzo secolo questa tragica pagina di storia è stata colpevolmente dimenticata dallo Stato italiano in nome dell’amicizia e del buon vicinato con la ex Jugoslavia di Tito. Negli anni Novanta, finita le guerra fredda, si è sentita la necessità di rendere omaggio alle vittime dei partigiani comunisti che uccisero uomini e donne di ogni età solo perché italiani. Fu una vera pulizia etnica, un genocidio. Trecentocinquantamila italiani si salvarono abbandonando tutto e scegliendo la via dell’esilio in Italia. Nel 2004 il Parlamento ha votato una legge che fissa il 10 febbraio come “Giorno del ricordo” «al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra». Una data simbolica perché rimanda al 10 febbraio 1947 quando fu ratificato il Trattato di pace che sanciva il passaggio alla Jugoslavia delle ex province italiane dell’Adriatico. Molti minatori sardi durante la guerra si ritrovarono in Istria per lavorare nelle miniere dell’Acai. Tra questi Giuliano Fierli e il figlio Dino, tecnici specializzati di Carbonia, nell’ottobre del 1943 furono tra i testimoni della prima foiba scoperta e ispezionata in Istria, nella località Goglia di Vines. Si calarono con scale di corda sino a 150 metri e videro uno spettacolo orrendo: cumuli di corpi nudi e martoriati. Da Vines furono riesumati 84 salme, quattro erano donne. Solo un uomo si era salvato, Giovanni Radeticchio, e potè raccontare una tragedia spaventosa: i prigionieri erano stati torturati, legati l’un l’altro col fil di ferro e spinti nella foiba. Poi i partigiani gettarono bombe a mano per finire l’opera. Vines fu solo il primo atto di un massacro che fu messo in atto nel maggio del 1945, a guerra praticamente conclusa. I titini catturarono migliaia di italiani e li fecero sparire nelle foibe. Poi su quella tragedia calò il silenzio durato mezzo secolo.