Intervento alla cerimonia istituzionale del Giorno del Ricordo (Senato della Repubblica, 10 febbraio 2022) della Professoressa Donatella Schürzel, Vicepresidente vicario nazionale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ed esule di seconda generazione, nata e cresciuta al Quartiere giuliano-dalmata di Roma, ove oggi presiede il comitato provinciale di Roma dell’Anvgd
Signor Presidente della Repubblica
Signora Presidente del Senato, Presidente della Camera dei Deputati,
Onorevoli Senatori e Deputati,
Rappresentanti del Governo, Autorità civili, militari, diplomatiche e religiose,
Gentili signore e signori, studenti presenti,
Amici e Fratelli dell’Istria, Fiume e Dalmazia,
Diciotto anni or sono è stato istituito con legge n° 92 del 30 marzo 2004 il Giorno del Ricordo che oggi celebriamo. È per me un onore trovarmi qui oggi a rappresentare il mondo degli esuli, dei loro discendenti e delle associazioni afferenti a Federesuli.
Sono trascorsi oramai settantacinque 75 anni, dalla stipula del duro trattato di pace di Parigi che sancì la perdita di quasi un’intera regione del nostro stato, della nostra Italia, e con essa dell’abbandono forzato della propria terra, la patria amata dagli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia che Indro Montanelli definì “Italiani due volte”, per venire, esuli e profughi, nella madre patria, amata al punto da compiere una scelta tanto drastica e dolorosa. Unitamente alla volontà di mantenersi liberi e non doversi assoggettare ad un nuovo regime totalitario, comunista, tale a quello precedente, fascista.
L’impegno e il lavoro appassionato di tante donne e uomini con le Associazioni degli esuli, con il mondo degli studi storici, con le accademie con le collaborazioni e l’attività nelle scuole di ogni ordine e grado e tra i cittadini hanno portato a grandi riconoscimenti da parte della società civile e del mondo politico, permettendoci di far conoscere la storia del confine orientale in modo oggettivo, assolutamente inoppugnabile, documentato e, dunque, vero.
Non è il momento di dare spazio a tentavi maldestri di revisionismo, frutto di ignoranza della storia e distorta interpretazione ideologica, di riduzionismo o misero giustificazionismo, è persino inutile parlare di negazionismo, in quanto i documenti, oggi consultabili e visibili da parte di chiunque, le fonti precise degli Archivi, le ricerche condotte in modo indefesso, finalmente e giustamente anche con gli storici e i ricercatori sloveni e croati, parlano per noi…
E intanto occorre spiegare, soprattutto ai giovani, la storia del confine orientale in una prospettiva di lungo periodo: gli istriani e i dalmati sono italiani autoctoni, cosa sancita anche dalle leggi governative e locali della Croazia e della Slovenia per gli italiani della minoranza, come quelli delle Marche o della Campania, sorti dal disfacimento della koinè romana
Le pur giuste richieste di indennizzi purtroppo poco solvibili, non compenserebbero mai il dolore profondo, le lacerazioni insanabili, la tragedia subita da chi vide prima morire in modo orribile persone care, parenti amici nelle orride foibe carsiche o nel profondo mare della Dalmazia o sparire nel nulla e poi visse la devastante frattura dell’Esodo che comportò lasciare ogni cosa , i beni materiali, il lavoro, le persone care, i morti i propri paesi e città, insomma la propria vita !
Gli istriani, Fiumani e Dalmati hanno sempre continuato però, a credere nello Stato italiano e a confidare che ci venissero riconosciuti i diritti negati e i danni almeno morali. E questo senza dubbio ha rappresentato l’istituzione del Giorno del Ricordo che, dopo un lungo silenzio durato più di cinquant’anni, ha ripreso la storia del confine orientale che è storia d’Italia e ha restituito ad una intera gente la propria dignità.
E penso allora, a quanto sarebbero orgogliosi oggi i miei genitori, i genitori di tutti noi che hanno saputo trovare nei loro cuori la forza di educarci all’amore, di usare tutta la loro rettitudine, forza, onestà, per riuscire a ricominciare. In silenzio, e tutte le energie servivano per andare avanti. Per sorridere in mezzo a quelle pareti fatte di coperte, lì nei vari campi profughi; per ricominciare con l’unica via possibile, il lavoro, qualunque esso fosse, anche il più umile.
Noi, figli, nipoti e discendenti, le cose le abbiamo sapute man mano, crescendo. I nostri genitori non ci hanno cresciuti nell’Odio semmai nell’Amore per la nostra terra e le nostre origini. Sono loro che ci hanno condotto sulla via del ritrovarsi coi fratelli di la dal mare, come amo dire io, e ritrovare un mondo avito, e uguale per tutti noi. “L’altera pars mea “ di Nelida Milani esprime tutto ciò in tre parole e unisce esuli e rimasti che hanno incredibilmente sofferto, esuli anch’essi spesso in casa, nelle loro città non abbandonate e che oggi rappresentano in Istria, a Fiume, in Dalmazia, quel mondo così frastagliato e ricco che, ricomposto attraverso la cultura, il lavoro, potrebbe guardare molto distante nel futuro e d essere di riferimento nella nostra Europa, che ha visto e vede accadere tragedie immani di tanti suoi popoli.
Il pensiero va a mia madre e non posso dimenticare quando anche nelle ultime visite insieme a Pola mi prese discretamente sotto braccio, mentre guardavamo il mare tra gli archi dell’Arena, nella sua Pola. Erano i suoi occhi pieni di dolore, ma anche, finalmente, negli ultimi anni occhi che brillavano di gioia per il cammino compiuto nel tempo e coi nostri fratelli istriani, di là dal mare.
E mentre mi inerpicavo per le calli di Rovigno, la città di mio padre, quest’anno, per la prima volta da sola nell’intera mia vita, ora che non ci sono più entrambi, mi sembrava di sentire le sue parole che mi avevano fatto conoscere e “vivere”la sua città come se fosse fino in fondo anche la mia. E’ così che mi sento, che ci sentiamo noi discendenti oggi, che i nostri genitori e tutti coloro che hanno compiuto questo periglioso cammino della vita ci hanno lasciato il testimone, ora che quanti hanno vissuto la loro vita nell’esilio pur se divenuto motore nuovo delle loro esistenze, condividono i loro cieli con i fratelli rimasti , noi ci sentiamo nelle loro città, anche nelle NOSTRE città.
Il RICORDO non deve rimanere solo malinconico e nei cuori di chi ha vissuto questi immensi drammi della storia, ma deve divenire MEMORIA collettiva, di un popolo, di uno Stato, degli Stati oggi finalmente amici per essere attivi e produttivi nel presente. Lo ha dimostrato l’incredibile esito riscosso dal Progetto Dante Adriaticus realizzato dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia , con la Sede di Roma che ha avuto nella ricchissima tappa di Pola un riscontro incredibile che già da buoni frutti. E’ cosi che si costruiscono i rapporti, che si ritrovano le genti, che si ricostituisce una collettività consapevole della propria identità che può solamente contribuire alla crescita positiva degli stati in cui si viene a trovare al di la di confini o questioni politiche. Come è stato dimostrato anche dal bellissimo incontro dei due Presidenti a Basovizza che hanno in tal modo dato il via ad un giusto nuovo corso. In quest’ottica, naturalmente, il lavoro che aspetta tutti noi e le nuove generazioni è soprattutto quello di far sì che queste vicende entrino a far parte a pieno titolo della coscienza civile della nazione, che i nostri fratelli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia che hanno riconosciuto come tali i loro fratelli costretti all’esodo camminino insieme a noi e che nell’Europa di oggi si riconoscano le sofferenze e la testimonianza di un intero mondo resa prima con l’esodo, con la civiltà del comportamento, con la resilienza di chi è rimasto… Valori questi costantemente dimostrati in tanti lunghi anni in cui a volte gli Italiani dell’Istria, di Fiume, della Dalmazia si sono sentiti stranieri in patria, ma che oggi stanno emergendo sempre più forti tanto da entrare nella storia, fare la storia e con essa volgersi in modo propositivo e concreto al futuro.