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I partigiani italiani che liberarono Belgrado (Il Piccolo 27 feb)

di Furio Baldassi

«C'era bisogno di questa riunione. Perchè in tanti, all'interno dello Stato, parlano male di noi. Che non abbiamo mai dichiarato guerra a nessuno, semmai abbiamo difeso tanti connazionali e il Paese tutto e non ci meritiamo un trattamento simile». Giordano Crespi, da Montona, Istria, classe 1925, a 85 anni compiuti non ha ancora messo da parte la grinta che una vita fa lo aveva portato a combattere, da partigiano, i fascisti e i nazisti. Lo stesso carattere deciso che adesso lo indigna di fronte «al tentativo storico di rivalutazione del fascismo». E lo porterà oggi, all'assemblea dell'Anpi, a ribadire il valore della memoria.

«La verità – tuona, la voce ancora chiara e forte – è che bisogna tuttora chiarire tante cose. Ci imputano le vendette del dopoguerra? Troppo facile, certa gente non si ricorda evidentemente di quando gli italiani hanno calato le brache, nel '43, lasciando impantanata nei Balcani tutta la nostra gente… Non ero militare quella volta, ma comunque in età di ferma. Ho scelto di andare con i partigiani, come la gran parte di quelli delle nostre zone, mentre quando è partita la grande offensiva tedesca quelli che erano fascisti sono rimasti tali…E non a caso tanti dei nostri sono finiti internati in Risiera o in Germania».

Arruolato a San Servolo, alle porte di Trieste, Crespi è uno di quei concittadini che la storia, spesso sconosciuta, l'ha vissuta dall'interno. Quanti sanno, ad esempio, che c'era un robusto contingente di triestini nelle truppe partigiane che hanno scacciato i tedeschi da Belgrado? Lui c'era, e lo ricorda con straordinaria dovizia di particolari, come fosse successo appena ieri. «Siamo riusciti ad entrare a Belgrado – rammenta – ma se non ci fossero stati i sovietici con l'appoggio dei loro carri armati ci avrebbero fatti fuori tutti. La Serbia era strategica, ci serviva per l'appoggio successivo. Da lì ho poi sostenuto tanti combattimenti in Croazia e in Bosnia, prima di passare nelle truppe di Marina e finire a Curzola.

A Trieste sono tornato appena nel '46». In tutti questi anni Crespi non ha mai perso il contatto con il territorio, con i vecchi compagni, con la stessa Anpi. Perchè, fa capire, solo quello che si perpetua nel tempo assume valore di memoria storica a tutti gli effetti. A maggior ragione in un'Italia che, col governo di centrodestra, sembra in vena di revisioni a 360 gradi. Anche e soprattutto per quello che riguarda il ruolo della guerra di liberazione, il suo impatto sull'Italia post-fascista. Un memorandum che, assicura Crespi, l'Anpi ha sempre tenuito ben vivo e a maggior ragione intende farlo adesso che si prospetta un passaggio di testimone per molti versi epocale. Domani (oggi ndr) ci saranno rappresentative di ex combattenti provenienti dal Friuli, dal Collio, dalla Slovenia. Segno di un ricordo che non muore e di un impegno che non è venuto meno. In questa occasione – conclude l'ex partigiano – intendiamo lanciare un messaggio sul ruolo storico ricoperto dall'Anpi. Che ha avuto un ruolo importante e intende rivestirlo ancora nel futuro, magari procedendo nel contesto a un cambio generazionale»

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