di PIETRO SPIRITO
TRIESTE Portano i nomi di Gopcevich, Popovich, Opuich Skuljevich, solo per citarne alcuni. Si insediarono a Trieste intorno al 1751, l’anno in cui Maria Teresa promulgò la Patente di Riconoscimento che permetteva loro di fondare una propria comunità religiosa e una chiesa, e fino al 1914 contribuirono a fare grande la città nel momento in cui Trieste grazie al Porto Franco spiccava il volo verso la modernità e la prosperità. La loro comunità non era numerosa – non più di cinquecento persone nel periodo più florido, nella seconda metà dell’Ottocento – ma l’impronta che hanno lasciato rappresenta un capitolo importante della storia di Trieste. Adesso, a 140 anni dalla consacrazione della chiesa di San Spiridione e nel 240° aniversario della prima Messa celebrata in città nell’antico slavo ecclesiastico, una sfarzosa mostra al Castello di San Giusto ricorderà la storia della Comunità serba di Trieste. La rassegna, intitolata ”Genti di San Spiridione – I Serbi a Trieste 1751-1914”, verrà inaugurata giovedì, alle 19 (venerdì l’apertura al pubblico, visitabile tutti i giorni dalle 9 alle 19, fino al 4 novembre), nei locali della restaurata Bottega del vino. Saranno presenti, fra gli altri, il premier della Repubblica di Serbia Mirko Cvetkovic, il presidente delle Comunità religiosa serbo-ortodossa di Trieste Bogoljub Stojievic, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, l’assessore alla Cultura del Comune Massimo Greco.
È la prima volta che una mostra storico-artistica si incarica di illustrare – sotto la direzione di Adriano Dugulin e in un allestimento a cura di Lorenza Rescinti e Michela Messina con il coordinamento di Marzia Vidulli Torlo – la storia dei Serbi a Trieste attravesro un ampio percorso espositivo che annovera quadri, opere d’arte, antichi libri e documenti, preziosi manufatti liturgici, icone tra le più raare in Europa, fotografie e un ricco catalogo pubblicato da Silvana Editoriale con le principali biografie familiari. Perché quella delle genti di San Spiridione è una vicenda che va considerata e letta analizzando soprattutto il profilo dei suoi protagonisti, le famiglie più importanti attive nei settori commerciale, marittimo, assicurativo e politico oltre che nei campi della beneficenza e del collezionismo, senza per altro dimenticare il fulcro – ieri come oggi – dello sviluppo della comunità, la chiesa di San Spiridione (i cui restauri si conluderanno alla fine di quest’anno).
La storia della Comunità serbo-ortodossa di Trieste inizia i 20 febbraio del 1751, con la Patente di Riconoscimento di Maria Teresa (l’originale sarà in esposizione), che concede ai Greci e agli Illirici – come venivano allora definiti i serbi – di fondare una comunità religiosa e di costruire una chiesa nella zona più prestigiosa del centro urbano. Nei trent’anni successivi arrivano in città più di 150 Illirici provenienti dall’Erzegovina, dalla Bosnia, dalla Dalmazia, dalle Bocche di Cattaro e dal Montenegro.
La costituzione ufficiale della Confraternita greco-illirica avviene nel 1756, mentre il primo statuto approvato porta la data del 1772. Nel 1781 la comunità ortodossa si divide nelle sue due componenti, greca e illirica, e nel 1793 è approvato il nuovo statuto della comunità illirica. È l’inizio di un’avventura economico-commerciale che lascerà il segno. L’attività dei Serbi ruota intorno ai traffici marittimi, anche se molti commercianti preferiscono diversificare gli investimenti: oltre alla compravendita delle merci provvedono al trasporto con navi proprie, per finanziare gli acquisti fondano le prime banche private, e per assicurare le merci stesse le prime compagnie di assicurazione. Alla fine del ’700, su quattordici compagnie a Trieste gli Illirici ne controllano otto. Ma lo sviluppo della comunità avrà i suoi momenti bui. La prima crisi arriva con la terza occupazione francese, tra il 1809 e il 1813, quando, di fronte al tracollo dell’emporio triestino, molti commercianti serbi lasciano la città per tornare alle terre d’origine o riparare altrove. La ripresa economica coincide con il ritorno dell’Austria, nel 1814, e a Trieste ricomincia il grande flusso delle merci in arrivo dal Levante con olio, tabacco, stoffe, cotoni e dalle province mediterranee con agrumi, vino, frutta secca d’ogni specie.
Intanto il tempio della comunità segue il suo destino. La prima chiesa dedicata a San Spiridione e alla Santissima Trinità viene costruita vicino al Canal Grande, sui terreni delle vecchie saline, subito dopo la Patente del 1751. La prima messa viene celebrata nel 1755, in un edificio a navata unica, con due campanili ai lati con cuspide a cipolla. Ricchissimi gli arredi, compresa una preziosa lampada votiva in argento dono del futuro zar Paolo Romanov e della moglie Maria Fedorovna. Ma il terreno sui cui poggia la chiesa non è stabile, e negli anni si verificano i primi cedimenti. Nel 1850 viene demolito il campanile sul lato destro, divenuto pericolante, e nel 1860 viene decisa la demolizione dell’intera chiesa. Per scegliere il progetto del nuovo edificio già dall’anno precedente è stato indetto un concorso pubblico cui partecipano i più rinomati architetti di Vienna, Venezia, Milano, Monaco di baviera, Roma, Firenze e San Pietroburgo. Tra i progetti presentati (tutti esposti) vince quello del milanese Carlo Maciachini. I lavori per la costruzione della nuova chiesa iniziano nel 1861, non prima di aver rinforzato il terreno con palafitte. Ci vorranno vent’anni per completare l’edificio, che nella facciata principale richiama il romanico italiano, è alto 40 metri, lungo 38 e largo 31, capace di accogliere fino a 1600 fedeli, ed è arricchito da splendidi di mosaici e affreschi sull’esempio delle chiese bizantine di Ravenna e della basilica di San Marco a Venezia. La comunità è ormai saldamente insediata, oltre al luogo di culto ha un suo cimitero, una biblioteca e una scuola, la ”Jovan Miletic”, attiva sin dal 1782, dove vengono insegnati lettura, scrittura e grammatica in illirico, canto, aritmetica, tedesco, italiano e latino e le cui porte sono aperte anche ai bambini di altre nazionalità e religioni. Ed è su questo tessuto piccolo ma robusto che si intrecciano le vicende della grandi famiglie serbe. Come quella dei Gopcevich, il cui capostipite, Cristoforo, arriva a Trieste nel 1805. Armatore e commerciante, ha studiato a Vienna, parla correntemente 13 lingue, conosce di persona Giuseppe Garibaldi e frequenta gente come il primo ministro britannico Gladstone. Da Trieste muove tre brigantini lungo le rotte del Mar Nero, per tre volte è presidente della Comunità illirica e nel 1850 si incarica del resaturo, a cura dell’architetto Giovanni Berlam, del palazzo sul Canal Grande che oggi porta il suo nome. La facciata dell’edificio riprende il motivo ornamentale del palazzo Ducale di Venezia, e Gopcevich la arricchisce con quattro sculture che rappresentano la battaglia del Kosovo del 1389: la zarina Milica, lo zar Lazar, il condottiero Miloš Obilic la fanciulla del Kosovo, soccorritrice dei feriti. La sorte, però si accanirà su Cristoforo Gopcevich: una speculazione commerciale azzardata durante la guerra di Crimea lo manda sul lastrico, e nel 1861 il coraggioso armatore si toglie la vita. Suo figlio Spiridion (Trieste 1855-Vienna 1936) sarà giornalista politico e astronomo di fama mondiale anche se controversa (sembra sia morto in povertà), mentre un altro discendente della famiglia, Marino Gopcevich (1899-1965) sarà il fondatore a Trieste della divisione neurologica dell’Ospedale Maggiore.
Anche i Kvekich hanno lasciato memoria, soprattutto con Darinka Kvekich, figlia del commerciante Marco, moglie del principe del Montenegro Danilo I Petrovic-Njegoš (nel 1860 lui fu assassinato e lei fece salire al trono del Montenegro Nicola, padre di Elena, futura regina d’Italia, della quale sarà esposto in mostra un grande ritratto). Ma a curiosare negli archivi familiari dei Serbi di Trieste di sorprese se trovano parecchie, come la vicenda toccata al commerciante Giovanni Risnich, la cui moglie Amalia de Ripp nel 1823 incontrò a Odessa il poeta Aleksandr Puškin e ne divenne l’amante, ispirandogli versi immortali (lei sarebbe poi morta tisi a Trieste a soli 23 anni).
«Con questa mostra dedicata alla Comunità serba – spiega l’assessore alla Cultura del Comune Massimo Greco, – abbiamo voluto approfondire uno degli ambiti della nostra politica culturale, quello dedicato alle comunità che hanno attivamente partecipato allo sviluppo di Trieste». «Così – continua Greco – dopo le iniziative dedicate agli Armeni e ai Greco orientali ecco un’altra occasione per riscoprire e valorizzare le peculiarità del nostro territorio, anche in considerazione della presenza a Trieste di diecimila Serbi e della dichiarata volontà della Regione di stringere più forti contatti con Belgrado».