di SERGIO BARALDI
Lascio da oggi la direzione de Il Piccolo. In realtà per me, si chiude una vicenda più lunga che mi ha portato a guidare entrambi i giornali della regione. Una storia che mi ha messo nelle condizioni di avvicinarmi, conoscere, raccontare, in momenti storici diversi, entrambi i mondi di questa complessa regione. Una storia che, non a caso, si conclude a Trieste, la capitale, il centro culturale. Ho ereditato un giornale che è una istituzione e ho cercato di conservare e rafforzare il patrimonio ricevuto in consegna dai direttori precedenti. Per come ho potuto e saputo, spero di avere adempiuto alla missione.
La condizione di chi dirige un giornale è la solitudine. Un quotidiano come Il Piccolo, che si identifica da 125 anni con Trieste, che esprime l’anima di questa città, rappresenta il luogo simbolico in cui i lettori che lo sfogliano possono dire: riconosco il mio mondo, la mia storia, le mie radici. Nel giorno del commiato, spetta a voi dire se il progetto sia diventato, almeno in parte, realtà. Gli ultimi anni hanno segnato profondamente il territorio: qui sono avvenute grandi trasformazioni come la fine del confine, che ha aperto una fase storica tutta da costruire. Trieste cerca una nuova dimensione, un suo modello di sviluppo, aspira a un riconoscimento che deve anche meritarsi. Sono stati anni in cui le domande di senso collettivo, il richiamo del passato e il desiderio di futuro, si sono intrecciate alla ricerca di una bussola per avanzare nell’epoca dell’incertezza. Più di tutte, si fa sentire la distanza tra le esigenze oggettive poste dallo sviluppo globalizzato, le tendenze della società e la difficoltà di produrre una sintesi.
Il Piccolo poteva scegliere se seguire la comunità che vuole rappresentare, rispecchiandone una visione statica, o tentare di anticiparne speranze e ambizioni, scommettendo su un’idea di dinamismo. Senza dimenticare la nostalgia per ciò che Trieste è stata, ho tentato di seguire la seconda strada. Ho cercato di aprire il giornale alla discussione sulla innovazione, sul coraggio del cambiamento, sui diritti di cittadinanza. Abbiamo pensato Trieste come nuova questione nazionale: la piattaforma del Paese verso Est. Non è semplice conservare il legame di fiducia con i lettori e non stancarsi di corrispondere al nuovo; o rispondere all’obbligo, morale prima che professionale, di indicare l’interesse generale, le responsabilità che comporta, a chiunque governi. Questa agenda sembra diventata parte del comune sentire.
Il Gruppo editoriale del quale facciamo parte mi ha garantito l’autonomia in modo esemplare. Mi auguro che i lettori abbiano condiviso lo sforzo di realizzare un giornale pluralista, sobrio, che però non ha rinunciato alla libertà delle sue idee e al patrimonio civile che il Gruppo L’Espresso rappresenta nella vita del Paese. Sono stati anni di rinnovamento in redazione, nei contenuti, nella veste grafica, che hanno segnato una prima svolta. Non ci sarei riuscito senza il sostegno dell’editore e dell’amministratore Paolo Paloschi. E senza la collaborazione di una redazione motivata, preparata, in parte ringiovanita, che ringrazio.
Sono certo che Paolo Possamai saprà fare meglio di me. Non potevo lasciare il mio giornale in mani più capaci. In questi anni, ho avuto il privilegio di partecipare ai cambiamenti che hanno investito la vita della collettività. Il destino di Trieste l’ho sentito anche mio. Ma ogni storia che ha un inizio ha anche una fine. Regola vuole che i direttori passino, i giornali restino. E le regole si rispettano.
Sergio Baraldi su Il Piccolo del 1. novembre 2008