Il complesso francescano di Pola, una storia tormentata

È merito dell’architetto, urbanista, esperto in patrimoni culturali e storico dell’architettura Attilio Krizmanić, recentemente scomparso, se il prezioso complesso conventuale francescano di Pola è stato studiato nel dettaglio per la prima volta in sette secoli di storia. Ed è merito suo se oggi un libro del Centro di ricerche storiche fornisce un quadro completo di tutte le nozioni finora acquisite sull’argomento. Si tratta del volume numero 47 della Collana degli Atti che porta il titolo “Il Complesso francescano di Pola. Genesi e sviluppo architettonico dal XIII al XX secolo” uscito col concorso dell’Unione Italiana e dell’Università Popolare di Trieste. Opera monumentale che materializza in maniera esemplare la tesi di dottorato di ricerca di Krizmanić. “Monumentale” per tutta una serie di motivi: innanzi tutto per l’importanza dello studio in quanto tale, in secondo luogo per l’esaustivo impianto grafico che passa in rassegna tutti i rilievi geodetici, fotogrammetrici ed architettonici della situazione generale e dei dettagli più significativi della struttura gotica, e infine perché la storia del monastero si sovrappone necessariamente alla storia della città per cui interessa tanto agli storici quanto ai non iniziati purché appassionati di patrimonio monumentale in senso lato e di architettura ecclesiastica nello specifico. In una veloce benché insufficiente lettura del libro che proponiamo in questa sede, cercheremo di passare in rassegna le tappe salienti del sistema convento-chiesa collocandole nel quadro più ampio della storia della città e nel fare questo ci affidiamo massimamente alle parole di Krizmanić che, secondo Ivo Petricioli dell’Accademia croata delle scienze e delle arti, “formula una nuova interpretazione delle fasi costruttive, diversa da tutte quelle sinora esistenti”.

La chiesa gotica risale al Duecento.
Foto: RONI BRMALJ

Il complesso paleocristiano
A titolo introduttivo l’autore nota come l’insieme degli edifici di cui si compone il complesso sia testimone muto di “un importante periodo della creatività edilizia polese, il Duecento, quando la città non condivideva ancora le sorti della Repubblica di Venezia”. Convento e Chiesa, pur nella semplicità della loro concezione architettonica, rappresentano l’unica testimonianza quasi completamente conservata del periodo del libero comune medievale di Pola. Lo sarebbe stato anche il Palazzo comunale, del 1296, a sua volta gotico, se dell’opera originale non fosse rimasto altro se non una minuscola porzione della facciata orientale. Krizmanić corrobora i ragionamenti di Schiavuzzi sulla probabile esistenza di una basilica paleocristiana e adduce a questo titolo i ritrovamenti del 1983 durante una campagna di scavi nel Clivo San Francesco, quando furono rinvenute tracce di mosaici e un frammento di epigrafe della consacrazione di un edificio di culto intitolato a San Giovanni Battista. Tuttavia smentisce l’ipotesi di Schiavuzzi sull’esistenza di una precedente basilica romana e a questo titolo svolge un’ampia trattazione passando in rassegna tutte le fonti storiche e scientifiche attualmente disponibili. Della chiesa paleocristiana dice invece che pur essendo entrata a far parte del complesso conventuale, rimase un edificio a sé stante, perché così sembrano suggerire alcuni testamenti del Quattrocento, che distinguono appunto i due luoghi di culto: (…) in ecclesia Sancti Iohannis penes cimiterium ecclesie Sancti Francisci fratrum minorum de Pola (…).

La facciata sud-orientale che si erge su Clivo San Francesco d’Assisi.
Foto: DARIA DEGHENGHI

Fondazione e genesi
Nel XII secolo – scrive Krizmanić – Pola è stata la prima città istriana a darsi una forma d’autogoverno anche perché già nel X secolo era riuscita a mantenere la propria indipendenza da Venezia (benché condizionata da temporanei “accordi di protezione”). Immancabilmente l’autonomia diede i propri frutti, la città crebbe, soprattutto nella seconda metà del Duecento, il benessere materiale favorì la nascita di un’aristocrazia urbana e la costruzione di edifici emblematici. I posteri ne hanno avuto in consegna appena due: il complesso francescano e il palazzo comunale. Una data di fondazione storicamente accertata ci resta comune ignota, e questo titolo l’autore cita una lunga scia di fonti e ipotesi, senza poter esibire quella che sarebbe la sola prova pertinente al caso: un documento scritto di qualsivoglia natura purché attendibile. Gli autori precedenti riconducono comunque la fondazione alla “prima metà del XIII secolo, ai tempi delle visite di Sant’Antonio da Padova all’Istria”.

La statua del beato Ottone di Pola (1200-1241).
Foto: RONI BRMALJ

Merito dei Castropola
Il frate francescano Marin Oreb ritiene che il convento si trovasse inizialmente “in una piccola casa poco appariscente, un tugurium, accanto alla Chiesa di San Giovanni” e sostiene che fu fondato dallo stesso Sant’Antonio tra il 1227 e il 1230. Seguono ampi riferimenti storici e il dovuto ossequio a Pietro Kandler, che attribuisce ai Castropola il merito della costruzione del convento. Con alcune correzioni di date erronee, Krizmanić appoggia e aggiorna la tesi di Kandler per cui non solo la nuova chiesa ma anche il convento sono stati edificati verso la fine degli anni Settanta del XIII secolo e come Kandler ne mette in evidenza le somiglianze stilistiche col Palazzo comunale. Segue una trattazione sulla copertura dell’edifico e una sul ruolo di fra Jacopo da Pola, il probabile progettista e sovrintendente del monastero. Il cantiere occupò 5.000 metri quadrati di superficie collinare impegnando centinaia di costruttori e artigiani di tutte le tipologie professionali indispensabili in edilizia religiosa. Seguono inoltre una dettagliata descrizione del Convento in continua evoluzione e della Chiesa che invece ha mantenuto immutate le forme originali. Sono cambiati, invece, e si sono evoluti i suoi arredi interni. Ci sono prove sufficienti sull’esistenza del pontile-tramezzo, elemento architettonico tipico delle chiese del XII e del XIII secolo, soprattutto gotiche, ma non esistono traccie attendibili per ricostruirne l’esatto aspetto.

L’altare della navata centrale.
Foto: RONI BRMALJ

Il polittico
Un capitolo a parte spetta al XIV e al XV secolo, segnato, il primo, da sempre maggiori conflitti tra le famiglie aristocratiche in lotta per il dominio sulla città. Nelle lotte di fazione si distinsero la famiglia Sergi De Castropola, alleati dell’Imperatore e del patriarca di Aquileia, e i Gionatasi, alleati di Venezia. Il conflitto terminò con l’eccidio di dei Castropola e l’espulsione dei superstiti del casato nella rivolta del 1331. Il sollevamento segnò la fine della signoria e l’inizio del governo della Serenissima. Mutano come conseguenza dei tempi anche il Convento e la Chiesa francescana, che seguono immancabilmente le sorti della città per cui dalle sventure del Trecento si passa alla fioritura del Quattrocento. Nuovamente l’autore passa in rassegna gli atti testamentari e altre testimonianze reperibili che forniscono valide informazioni sulla sostituzione della copertura del tetto, sulla prima, minore, sopraelevazione del convento e sulle modifiche alla facciata principale della Chiesa. In questo periodo fu realizzato anche il nuovo altare dedicato al beato Ottone, mentre l’altare maggiore venne ornato col polittico, l’opera più rilevante della scultura gotica del Quattrocento istriano.

La facciata principale è oggetto di recupero.
Foto: DARIA DEGHENGHI

Da luogo sacro a caserma
I capitoli successivi trattano il periodo della decadenza della città nei secoli XVI e XVII (l’incendio del 1645, la demolizione di S. Giovanni Battista, ulteriori modifiche al convento e l’ampliamento del campanile a muro singolo nel 1655), gli interventi edili e i danni subiti dal complesso nel XVIII secolo (ampia sopraelevazione e addizione del convento con devastazione delle forme gotiche, demolizione del pontile-tramezzo), la soppressione del convento alla fine del 1805 e la trasformazione del complesso monastico in caserma (in seguito in magazzino di vettovaglie e forno militare). A proposito di questo periodo, l’anno 1820 viene estratto dal contesto del secolo come paradigmatico perché è l’anno in cui si conclusero i rilevamenti topografici voluti dal governo austriaco in tutta l’Istria, rilevamenti che diedero alla provincia il cosiddetto Catasto franceschino. La breve occupazione francese fu fatale per il Convento, che fu soppresso sul finire del 1805: i frati con in testa fra Ottaviano Vatta dovettero abbandonarlo il 29 novembre dopo sei secoli di permanenza ininterrotta nel luogo. Tanto per ribadire che, come cambiano i tempi, così cambiano le consuetudini, l’autore ricorda che l’occupazione napoleonica durò solo otto anni, fino al 1813, quando l’Austria si riprese Pola e vi rimase per 105 anni, fino alla fine della Prima guerra mondiale, continuando a usufruire del monastero per le necessità dell’esercito fino al 1936.

Organo e cantoria.
Foto: RONI BRMALJ

Degrado e recupero
Gli ultimi capitoli dedicano ampie considerazioni sul XX secolo, al fatto che fino al 1920 il monastero ebbe la poco onorevole funzione di magazzino e forno militare, alla devastazione delle forme originali con la chiusura e l’apertura arbitraria di porte e finestre, il degrado generale del complesso che a questo punto della sua storia l’autore “definisce fatiscente dopo tutte le devastazioni subite” su disposizioni delle autorità militari. La ricerca termina con un’attenta analisi delle conseguenze che ebbero per il monastero gli eventi bellici del Novecento: la restituzione del complesso ai francescani nel 1922, il restauro dal 1925 al 1939, i bombardamenti degli Alleati del 1944/45, un altro restauro nel 1945/46 e il periodo jugoslavo che privò l’Ordine francescano del complesso ad esclusione della Chiesa, della Sagrestia e di una piccola parte dell’ala occidentale del convento.

Daria Deghenghi
Fonte: La Voce del Popolo – 22/05/2022

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