Il dalmata San Girolamo fra i Dottori della Chiesa

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo di Carlo Cesare Montani, esule di Fiume, dedicato ai Dottori della Chiesa, col seguente sottotitolo: “Una ristretta schiera di uomini e donne, esegeti del pensiero cattolico, diventati Santi della Chiesa romana e poi assurti alla gloria integrativa del Dottorato”. A cura di Elio Varutti, per la redazione del blog.

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La scomparsa di Benedetto XVI, al secolo Papa Joseph Ratzinger, con la richiesta popolare di farlo “Santo subito” in analogia a quanto già avvenuto per Giovanni Paolo II, ha indotto nuove attenzioni anche sulle figure del Dottori della Chiesa, nella cui ristretta schiera il grande Pontefice tedesco dovrebbe avere ampie possibilità di futuro inserimento, alla luce di un Magistero di alta dottrina, e nello stesso tempo, della convergenza di pensieri in materia di fede e ragione, collocate in una nuova sinergia di valori.

Al momento, i Dottori della Chiesa proclamati nel corso dei secoli per iniziativa di singoli Pontefici o di Concili, non arrivano a quaranta, comprensivi di quattro donne. I primi della serie avevano vissuto nei secoli iniziali dell’era cristiana (Sant’Agostino, Sant’Ambrogio, San Girolamo e San Gregorio Magno) ma furono definiti tali soltanto nel 1298, per opera di Bonifacio VIII, il celebre Papa Caetani che quattro anni prima era subentrato a Celestino V dopo il “gran rifiuto”. In alcuni casi, la nomina ebbe luogo con un ritardo anche millenario rispetto ai tempi in cui i nuovi Dottori avevano operato: come sarebbe accaduto anche in seguito, la procedura fu sempre lunga e difficile, all’insegna di una fondamentale virtù cristiana, quella della prudenza.

Altri sei furono insigniti di tale ruolo nel corso del XVI secolo, in tempi scaglionati (San Tommaso d’Aquino, San Giovanni Crisostomo, San Basilio Magno, San Gregorio Nazanzieno, Sant’Atanasio, San Bonaventura da Bagnoregio) mentre per i successivi quattro (Sant’Anselmo d’Aosta, Sant’Isidoro di Siviglia, San Pietro Crisologo e San Leone I) fu necessario attendere il XVIII secolo. Furono numericamente maggiori le nove nomine del XIX secolo (San Pier Damiani, San Bernardo da Chiaravalle, Sant’Ilario di Poitiers, Sant’Alfonso de’ Liguori, San Francesco di Sales, San Cirillo di Alessandria, San Giovanni Damasceno, San Cirillo di Gerusalemme e San Beda il Venerabile (1) che Dante colloca nel quarto Cielo del Paradiso, cui seguono le sette del XX secolo (Sant’Efrem, San Pietro Canisio, San Giovanni della Croce, San Roberto Bellarmino, Sant’Alberto Magno, Sant’Antonio da Padova e San Lorenzo da Brindisi).  Infine, sono da aggiungere i tre Dottori proclamati nello scorcio iniziale del XXI secolo (San Giovanni d’Avila, San Gregorio di Narek, Sant’Ireneo di Lione).

Più breve, come si diceva, è l’elenco delle donne, tre delle quali assurte alla sublime categoria dei Dottori della Chiesa nel XX secolo (Santa Caterina da Siena e Santa Teresa d’Avila per iniziativa di Paolo VI nel 1970, e Santa Teresa di Lisieux per opera di Giovanni Paolo II nel 1997) mentre l’ultima, Sant’Ildegarda di Bingen, si deve a Benedetto XVI, con atto del 2012. In questi casi, si trattava rispettivamente di Sante vissute nei secoli XIV, XVI, XIX e XI, quale nuova conferma d’istruttorie lunghe, o comunque promosse in tempi largamente successivi alla scomparsa terrena delle Sante in questione.

Secondo notizie di fonte ufficiale, sono presenti in stato d’istruttoria in corso altre diciotto posizioni: fra le più note, quelle di San Vincenzo de’ Paoli, Sant’Ignazio di Loyola, San Bernardino da Siena, San Giovanni Bosco, e del Santo Arcivescovo di Firenze Sant’Antonino Pierozzi, vissuto nel XV secolo. Anche questo, a ben vedere, è un elenco che la dice lunga sui criteri di ponderazione e di prudenza che presiedono all’iter di proclamazione dei Dottori.

A proposito di Santa Teresa di Lisieux, Patrona di Francia e dei Missionari, è interessante ricordare che le ultime parole pronunciate dalla medesima prima di tornare alla Casa del Padre furono: “Dio mio, ti amo”. Per l’appunto, sono le stesse ultime parole che, secondo testimonianze più che attendibili, il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto udire con un fil di voce poco prima della scomparsa, al mattino del 31 dicembre 2022.

Il gruppo dei Dottori si distingue da quello dei Padri, anch’esso molto circoscritto, per la differenza tra riflessione ed esegesi da una parte, e diffusione del messaggio cristiano dall’altra. In entrambi i casi, è comunque necessario l’atto di avvenuta santificazione, e quindi, di possesso dei vari requisiti propedeutici al conseguimento della dichiarazione di santità, quasi ad evidenziare, per gli uni e per gli altri, il suo carattere di “minimo comune denominatore” indispensabile alla successiva pronunzia per opera pontificale o conciliare.

Oggi, in un tempo di maturità della Chiesa, diventata meno categorica con il confronto conciliare e post-conciliare anche in materia di fede e di rivelazione, come da pertinenti analisi dello stesso Papa Ratzinger (2), è tempo di trasferire questo confronto anche nelle coscienze dei fedeli e di trarne spunto per una corretta rivisitazione della dottrina di Roma che non metta in discussione le verità fondamentali, e soprattutto, l’assunto dantesco – sempre valido – di stare “contenti al quia”. La ragione deve essere onorata quale realtà individuale, tipica della facoltà intellettiva che è propria dell’essere umano, ma non può fagocitare la fede che appartiene all’eterno, come da espressione dello stesso Ratzinger prima di salire al Soglio di Pietro, mentre tutto il resto è transeunte (3).

Nell’assunto in questione è fondato cogliere, in particolare, uno specifico richiamo a Sant’Agostino, Dottore della Chiesa assai presente nelle riflessioni di Benedetto XVI: si tratta di un richiamo sintetizzabile in ogni “attributo” di più ampio spessore etico e filosofico riconosciuto a Dio, come quelli di “creatore onnipotente, di giudice inevitabile, di padre celeste, di generoso donatore, e di legge eternamente valida” (4) nell’ambito di una concezione cristiana che non rimane una formula “teorica” ma è “fervore di credenza e ardore di preghiera”.

In linea generale, per quanto concerne i Dottori della Chiesa, nella stessa ottica di una ragione comunque subordinata alla fede nella continuità dei secoli, sembra congruo auspicare che i tempi di proclamazione, diversamente da quelli quasi biblici sinora occorsi in parecchi casi, siano più conformi ai nuovi modelli diventati ricorrenti, anche con l’apporto della rivoluzione informatica, se non altro per consentirne una “lezione” più completa e convinta a favore del popolo di Dio. Ciò non significa mancare del dovuto rispetto alla tradizione, ma fare in modo che dubbi e perplessità non prendano possesso del cuore sano di questo popolo, aprendo nuove vie solerti e funzionali alla ricerca del Giusto e del Vero.

Carlo Cesare Montani 

Papa Benedetto XVI (foto Fondazione Ratzinger)

Note

(1) – Giova ricordare che il motto “Miserando atque eligendo” riportato nello stemma di Papa Francesco è tratto proprio da un passo dell’Omelia 21 di San Beda il Venerabile (673-735) con riferimento storico alla vicenda episcopale di San Matteo.

(2) – cfr. Joseph Ratzinger, La mia vita: autobiografia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, pagg. 154, con particolare riguardo alle riflessioni su fede e ragione, e all’Omelia del 18 aprile 2005 prima del Conclave da cui sarebbe uscito Pontefice della Chiesa di Roma. Un Papa, giova metterlo in luce, che non sarebbe stato né avrebbe dovuto essere, nel convincimento di Ratzinger, un sovrano assoluto “il cui volere e pensare sono legge”. Ciò, come lo stesso Pontefice si fece premura di chiarire tempestivamente, perché “il ministero del Papa è garanzia di obbedienza verso Cristo” e proprio per questo “non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa, all’obbedienza verso la Parola di Dio” (cit. in Mario Tosatti, Il Dizionario di Papa Ratzinger, Baldini Castoldi Dalai Editori, Milano 2005, pag. 93).

(3) – Joseph Ratzinger, La mia vita, op. cit., pag. 151. Si rammenti, avverte il Papa Benedetto XVI, che “i beni terreni non rimangono” ma svaniscono ineluttabilmente, a cominciare dal denaro. “L’unica cosa che rimane in eterno è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità”. Ne scaturisce il dovere di “essere animati da una ‘santa’ inquietudine, quella di portare a tutti il dono della fede e dell’amicizia con Cristo”. Anzi, come aveva aggiunto il Papa, la fede costituisce una dotazione tanto più fondamentale, perché concessa, fra l’altro, per  farne oggetto di una diffusione compiuta nell’ottica del servizio agli altri.

(4) – cfr. Mario Bendiscioli, Dio, in “Dizionario di Filosofia”, Edizioni di Comunità, Milano 1957, pagg. 335-338, con riferimenti alle prove dell’esistenza di Dio – ontologica, cosmologica, teleologica, morale, finalistica, psicologica, storica – nel pensiero dei Dottori della Chiesa.


Autore principale: Carlo Cesare Montani. Networking di Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Copertina: San Gerolamo, nato nel 331 a Stridone in Dalmazia, da famiglia patrizia e cristiana. Il dipinto di Colantonio, del 1445-’46 ca., è custodito al Museo nazionale di Capodimonte (NA). Intitolato “San Gerolamo nello studio” è un olio su tavola (151×178 cm). Per la diffusione dell’immagine nel blog presente si è grati agli operatori del sito web sanfrancescopatronoditalia.it

L’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  http://anvgdud.it/

Fonte: ANVGD Udine – 12/01/2023

 

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