Il suo nome, al battesimo, era Bogdan (tradotto in italiano con Adeodato), nato nella Dalmazia che all’epoca faceva parte dell’Impero austro-ungarico, sotto l’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo. Minuto di corporatura, in ogni gruppo era sempre il più piccolo fisicamente: nelle primissime scuole e poi nell’Ordine cappuccino, dove è entrato 16enne, e diventando poi sacerdote nel 1890 col nome di fra Leopoldo. E assegnandosi un compito: contribuire alla riconciliazione tra Roma e i cristiani separati d’Oriente.
Le sue prime destinazioni nell’Ordine sono Zara e Capodistria. Poi viene la prima guerra mondiale, lui è “suddito nemico” (ossia appartenente all’Impero austro-ungarico in guerra con l’Italia) e viene perciò mandato in residenza obbligata nel sud d’Italia.
Quel sogno di contribuire all’unità tra cristiani d’Oriente e d’Occidente sembra poi avviarsi a realizzazione quando lo destinano a Fiume, come confessore dei cattolici slavi. Ma è di ritorno presto a Padova, richiamato dal vescovo Dalla Costa e dai fedeli: lo vogliono lì. E per un compito preciso e unico: la confessione. “Gigante della confessione”, lo chiameranno poi, perchè la sua vita è un lunghissimo, lucido e appassionato colloquio con infinite singole persone, quasi sempre sottovoce. Alcuni lo chiamano “martire della confessione”, perché a questo ministero dedica tutto, in salute e in malattia, in vecchiaia, alle soglie della morte. Uomo di compassione sarà chiamato. Ma non si può dire che sia una figura tranquilla e bonaria.
Al contrario: in quel suo corpo minuto c’è una natura bellicosa, capace pure di infiammarsi in scatti aspri e inattesi, proprio come il suo compatriota san Girolamo, che per un nulla prendeva fuoco, scusandosi poi per quel difetto, che attribuiva alla propria origine: “Dalmata sum, sono un dalmata, abbiate pazienza”.
Così è fra Leopoldo, e così lo vogliono persone di ogni età e ceto e nazionalità, che per la confessione cercano lui e solo lui. Per parlargli delle loro vicende e per sentire poi le sue risposte. Un’impressionante mole di testimonianze descrive la sua capacità di “affacciarsi” sui segreti di tante esistenze, di capire le parole e indovinare i silenzi, e di rimandare poi ogni persona con la certezza di non essere più sola al mondo (per gravi che fossero le colpe confessate) proprio a causa delle parole con le quali padre Leopoldo accompagnava l’assoluzione per il passato e l’iniezione di energie per l’avvenire.
Quando nel 1942 lo portano in ospedale, prima delle cure per sé egli intraprende – anche lì – altre confessioni. Gli viene poi trovato un tumore all’esofago ed egli muore il 30 luglio 1942, dopo aver tentato ancora di indossare i paramenti per la Messa. Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato santo nel 1983.
Domenico Agassio jr.
www.vaticaninsider.lastampa.it 30 luglio 2013