Un plico di carte ingiallite su una bancarella in Cittavecchia a Trieste. È stato trovato così il diario scomparso di Anita Pittoni, e ci voleva l’occhio esperto di Simone Volpato, docente di Storia del libro e dell’editoria all’Università di Trieste, bibliofilo ed editore in proprio, per riconoscere al volo il tratto e la calligrafia della poetessa, scrittrice e stilista triestina.
E fra quelle carte non c’era solo il diario 1944-1945, di cui si conosceva l’esistenza ma che era dato per perduto, ma anche le bozze autografe del libro ”Le Stagioni”, e quelle del suo capolavoro di poesia dialettale ”Fermite con mi”. Oltre a lettere, fotografie comprese di negativi anche queste inedite (datate maggio 1945 e scattate con ogni probabilità dallo stesso Stuparich, stando all’annotazione dello studio che le sviluppò), più undici racconti mai pubblicati, da ”Amicizia”, a ”La portinaia in punta di piedi”, da ”La storia di Beniamino” a ”La locandiera” a ”La ragazza di Cormons”. Ancora, un libro d’artista in copia unica, dedicato a Giani Stuparich, con testo dattiloscritto e inserti di stoffa cuciti, opera che segna esplicitamente il passaggio di Anita Pittoni dall’artigianato tessile alla scrittura. Un fondo eccezionale, che Volpato studierà e pubblicherà nel tempo, cominciando dal diario, che vedrà la luce il prossimo anno a cura di Elvio Guagnini e Sergio Vatta appunto per la sigla Svsb (Simone Volpato Studio bibliografico).
Ma come è possibile che documenti così importanti per la storia della letteratura triestina, e non solo triestina, siano finiti su una bancarella? «È una sorte analoga – risponde il docente ed editore – a quella capitata alla poetessa Cristina Campo, il cui archivio finì in una grande cassa di cui nessuno si volle occupare».
«Anita Pittoni – continua Volpato – morì l’11 maggio del 1982; alcuni mesi dopo, dall’1 al 15 dicembre del 1983, si tenne una mostra postuma alle gallerie Rossoni e al Corso, destinata alla vendita dei suoi disegni, studi, bozzetti e tessuti; la mostra fu organizzata da Mario Duilio Bravin e altri». «Più o meno in questo periodo – aggiunge – parte dell’archivio fu spartito fra gli eredi mentre un ”Fondo Pittoni” costituito dall’epistolario, in buona parte riguardante il suo lavoro di editrice per la collana dello Zibaldone, e dai repertori di stoffe e tessuti del suo laboratorio fu donato alla Biblioteca civica».
Parte della biblioteca di Anita Pittoni fu dispersa e finì sul mercato antiquario, disegni e bozzetti andarono alcuni in mano privata, altri al macero. Del fondo ritrovato, invece, non si sapeva niente. (p.spi.)