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Il dopo-Osimo di Franco Richetti (Il Piccolo 03 feb)

Quelle notti trascorse tra le stufe in maiolica, le pareti decorate a stucco e le grandi stanze cariche di storia di palazzo Diana, se le ricordano ancora in tanti. Per la complessità dei temi affrontati e la levatura dei protagonisti seduti attorno al tavolo, certo, ma anche per la durata fiume delle estenuanti direzioni di partito. «Si iniziava alle sette di pomeriggio e si finiva all’alba del giorno dopo – ricorda l’ex sindaco e nome di spicco della Dc degli anni Ottanta Franco Richetti -. Erano confronti lunghissimi e aspri che, spesso, terminavano al grido ”e adesso ’ndemo tuti de Giovanni” (il vicino buffet di via San Lazzaro ndr). In più di qualche occasione è capitato di ricomporre le fratture in osteria, davanti ad un bicchiere e una merenda».

Di tensioni da stemperare, del resto, nel tempo ce ne sono state davvero tante. L’imponente quartier generale dello scudo crociato cittadino ha assistito silenzioso ai lanci di coltelli tra liberal-nazionali e democratico-progressisti – in seguito diventati semplicemente dorotei e morotei -, a duelli epocali per riuscire ad imporre questo o quel candidato, a porte fatte sbattere rumorosamente.. «Lo scontro più violento che io ricordi – continua Richetti – arrivò subito dopo Osimo, quando il partito si spaccò sulla linea da tenere con la neonata Lista per Trieste: fautori dell’alleanza subito, contro sostenitori del confronto sulla lunga distanza, subordinato al chiarimento delle diverse posizioni allora esistenti all’interno del Melone».

Ma anche in anni più recenti i chilometrici corridoi del palazzo di piazza San Giovanni hanno rimbombato sotto le urla dei democristiani di ultima generazione. «Il momento più duro – racconta Bruno Marini, entrato nella Dc a vent’anni nel 1980 – si è registrato indubbiamente nel ’93 sulla scia della bufera Tangentopoli. Ricordo bene la dolorosa scissione che ci portò a dar vita al Cdu, anticipando di tre mesi l’evoluzione nazionale segnata poco più tardi dalla nascita del Ccd di Casini».

Eppure non di soli duelli politici è fatta la storia di palazzo Diana. Le foto in bianco e nero scattate negli anni Cinquanta raccontano pure di auguri di Natale scambiati attorno a grandi alberi sistemati sul parquet d’epoca e, persino, di pomeriggi tra macchine da cucito e uncinetti organizzati dalle iscritte della sezione femminile. Momenti comunitari che, per oltre cinquant’anni, si sono affiancati alle riunioni tenute nelle segrete stanze. «Tutti i grandi scontri sono sempre rimasti nell’ambito delle divergenze politiche – conclude Richetti – e non hanno leso i rapporti personali. Rapporti rimasti buoni anche a distanza di tanto tempo, come abbiamo avuto modo di verificare di recente in occasione dei funerali di Sergio Coloni». Uno dei simboli, appunto, dell’esperienza democristiana a Trieste che a palazzo Diana ha preso forma. Ma c’è anche chi, come Dario Rinaldi, invita quasi a ridimensionarne il mito, considerandolo per quello che: un edificio che ha esaurito da tempo la sua funzione. «Lo vendono? Meglio così, almeno non resterà ancora a lungo inutilizzato – taglia corto l’ex assessore regionale -. Di più, però, non mi sento di dire. Certo, è stato un importante centro di direzione politica. Ha rappresentato il cuore dell’azione politica della città per una lunga stagione che oggi però – conclude Rinaldi senza fare alcuna concessione ai ricordi – non esiste più». (m.r.)

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