18 agosto 1946: a Pola si muore.
Tra le 110 vittime, ufficiali e no, della più grave strage avvenuta nell’Italia repubblicana, tanti sono i bambini, oltre a uomini e donne di tutte le età. Le vittime non riconosciute perchè i loro corpi sono stati disintegrati dallo scoppio non esistono; ma circa 45 persone che si sono recate a Vergarolla quella sera non hanno fatto ritorno alle loro case con i vetri mandati in frantumi dallo spostamento d’aria.
È da quel 18 agosto che il dr. Geppino Micheletti comincia a morire, lentamente.
A lui quell’orrore ha rubato Carlo e Renzo, i suoi figlioletti, la sorella, il cognato e la loro bambina.
Chi era il dr. Geppino Micheletti-Michelstaedter- oltre ad essere l’eroe di quei terribili sanguinosi giorni di Pola, dopo la strage di Vergarolla?
Era nato a Trieste il 18 luglio 1905. Si era laureato in medicina all’Università di Perugia e specializzato in chirurgia a Padova.
Con la famiglia, nel 1930, si era trasferito a Pola.
Sposa Jolanda Nardin di Pola e dal loro matrimonio, finito prematuramente solo con la morte, sono nati due splendidi bambini:
Nelle fotografie li vediamo allegri e vivaci, sani belli con i biondi capelli ricci, due splendidi bambini di cui Jolanda e Geppino sono orgogliosi e per i quali già immaginano una vita in Patria da esuli consapevoli della loro italianità; il loro cuore li vede crescere, studiare, laurearsi. Il sogno di tutti i genitori, anche se saranno esuli, ma si sa…i giovani si buttano dietro le spalle dolori cattiverie, sono convinti che i loro figli si costruiranno una vita più facile di quella vissuta a Pola negli ultimi anni.
Quel 18 agosto tutta la famiglia Micheletti si recherà a Vergarolla con i parenti. Sarà festa grande giochi bagni corse… spensieratezza e da vedere le gare della Coppa Scarioni e da fare il tifo per qualche amico. .
Ma il dr. Micheletti, all’improvviso, viene chiamato all’Ospedale, deve essere di guardia.
Jolanda rimane a casa ad aspettare il ritorno di Geppino. Carlo e Renzo vanno al mare con gli zii e la cuginetta. Perchè privarli di una festa?
Jolanda e Geppino non li rivedranno mai più vivi; Renzo neppure da morto: il suo corpicino è scomparso, non esiste più; giocava troppo vicino alle bombe di nuovo innescate da mani assassine, di lui si troverà solo una scarpina; degli altri parenti nessuna traccia.
Fino all’ultimo giorno in cui è stata a Pola, Jolanda si recherà a Vergarolla, sempre, quotidianamente, per trovare qualcosa del piccolo Renzo, ma inutilmente.
Dell’eroismo del dr. Micheletti all’ospedale Santorio Santorio dopo l’esplosione si sa, ma della sua vita dopo, dopo aver ricucito operato corpi martoriati e salvato innumerevoli persone, si sa e si ricorda poco.
La Croce Rossa non gli permette di andarsene da Pola perchè è indispensabile per la cura e l’evacuazione dall’ospedale degli ammalati che se ne vanno in esilio.
Il 31 marzo 1947 anch’egli parte per l’esilio.
In Patria la Repubblica italiana gli conferirà una medaglia d’argento al Valor Civile.
Diventerà primario all’ospedale di Narni. Vi lavora fino al dicembre 1961; a 56 anni, l’otto dicembre muore per un infarto.
Nonostante la sua opera fosse osteggiata da alcuni elementi della cittadina sfavorevoli agli esuli, Micheletti si dedica alla cura degli ammalati con passione. I suoi colleghi racconteranno che correva all’ospedale anche di notte, anche se non era di turno, se dalla sua casa di Via Francesco Ferrucci vedeva illuminarsi le sale dell’ospedale.
Nonostante l’amputazione di alcune dita di entrambe le mani per una radiodermite continua a esercitare in chirurgia; porta sempre con sé, nel taschino del camice, la calzina che Renzo indossava quel giorno.
Questo il Geppino Micheletti ufficiale, come lo ricordano i giornali dell’epoca, i libri sulla strage, il Centro Studi Malfatti da cui ho tratto molte notizie.
Ma se l’ambiente in cui ha lavorato gli è stato ostile, ancora oggi molti cittadini di Narni lo ricordano con affetto.
Al bar Gnocchetto di Narni, in alto, si vedono due grandi foto, una di Jolanda ed una di Geppino, entrambi giocano con dei bambini.
Sono i figli di Maria Pilss della quale riporto una breve testimonianza.
Nell’aprile 1952 sono venuta a Narni, giovane sposa e anche un po’ spaesata, causa la mia scarsa conoscenza della lingua italiana, il Dottore amico della famiglia mi parlò in tedesco, lui e la sua Signora Jolanda mi vollero subito bene…
quando poi nacque il mio primo figlio Mario nel 1954, era una gioia vedere il caro Dottore giocare con lui e poi a due anni, incaricò la Befana di Piazza Navona a Roma di portare un trenino elettrico. Mi ricordo, come se fosse ieri, Luigino con il Dottore per terra a montare i binari e poi giocare insieme con il trenino, e Mario doveva stare buono a guardare.
Poi è arrivato Claudio nel 1956, andammo spesso a casa loro in Via Francesco Ferrucci e il Dottore non si riconosceva per come giocava con loro a cavallino, nascondino, poi con i giocattoli dei suoi amati figli, ricordando mi viene da piangere, pensando quanta sofferenza hanno passato.
Ci sarebbe da scrivere ancora tanto…vorrei ricordare nel bar Gnocchetto a sinistra c’è una bella foto del Dottore con un bambino seduto sul bancone, è Mario a pochi mesi, poi a destra la Signora Jolanda con l’amica di Roma a giocare a billiardino sempre con Mario.
Poco tempo fa è passato un signore a prendere un caffè, ha chiesto chi era quel Signore nella foto, mia nuora Silvia gli spiegò che era il Dottore Micheletti…e lui esclamò: Pensi lui mi ha salvato la vita!
Narni, 04.03.2016
Maria Pilss
Allora non è vero che solo noi esuli ricordiamo il Dr. Micheletti, la sua tragedia, il suo impegno, la sua dedizione.
Chi lo ha conosciuto ha amato l’uomo, ha amato il medico. Chi è stato salvato, a Pola o a Narni, non lo potrà mai dimenticare.
Come noi, sempre riconoscenti per la sua grande abnegazione che non è bastata per farlo rimanere a Pola oramai occupata dai titini e diventata jugoslava.
Non voglio correre il rischio di curare gli assassini dei miei figli. Così aveva risposto a chi gli chiedeva di rimanere.
Sicuramente quegli assassini vivevano a Pola, nelle case abbandonate dagli esuli, protetti dal silenzio dei mandanti, assassini anch’essi.
Geppino Micheletti, Jolanda Nardin non volevano e non chiedevano vendetta.
Non avrebbero potuto sopportare di vivere nella loro città divenuta nemica.
Ringrazio l’Ing. Franco Rodizza per il suo prezioso aiuto nella ricerca delle notizie.
Anna Maria Crasti
Anvgd Milano
Fonte: Varese in Luce, Valtellina News, Como Live, Resegone Online – 17/08/2021
***
“Il Piccolo” – 18/08/2021