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Il Gazzettino – 19.05.08 – La bellezza di Zara e del suo tramonto

di Chiara Pavan

Catturare la bellezza di un tramonto senza inciampare nel «pacchiano» rappresenta una sfida, tanto più se quel tramonto è stato certificato da Alfred Hitchcock: «Zara ha il più bel tramonto del mondo», sentenziò il regista una sera d'estate del '64, persino «più bello di quello che strappa applausi ogni sera a Key West».Tiziano Scarpa (foto) osserva il tramonto di Zara e concorda. In endecasillabi: «il tramonto di Zara, non c'è dubbio,/ si è scelto il testimonial più autorevole,/ uno che sa come inquadrare il mondo». Tanto che, davanti al «supertramonto» di Zara, bisogna fare un passo indietro, «ammettere le proprie debolezze» e dare spazio ad «un guardare che va vissuto/ senza che possiate darne conto, senza documentarlo (…) L'arte fa un passo indietro/ al cospetto del tramonto: (…) il tramonto va guardato dal vivo./Solamente in flagrante./Non è rappresentabile».

Raccontare il bello, «e obiettivamente Zara è bellissima», oppure descrivere l'incanto di un paesaggio senza scivolare nel kitsch o nel luogo comune non è facile, tanto più per chi è nato e cresciuto in una città magnifica come Venezia (cui Scarpa ha già dedicato, qualche anno fa, una gustosa e atipica guida, "Venezia è un pesce", per Feltrinelli). Così, per lasciar affiorare la bellezza di Zara, dove ha vissuto per più di un mese lo scorso anno, Scarpa si affidato a parole e metrica: e "Discorso di una guida turistica di fronte al tramonto", 23 brevi componimenti in endecasillabi in libreria da domani per Amos Edizioni nella versione bilingue italiano-croato (traduzione di Snjezana Husic; 13 euro), è davvero un poetico viaggio nella bellezza fatto di luce, emozioni, stupore, riflessioni, ironia. D'altra parte, scrive Scarpa, «davanti alla bellezza dei paesaggi/(…) si sente il bisogno/ di traboccare, fare qualche cosa,/ sfogarsi (…)/ La bellezza fa fare. Fa reagire./ E comunque è superfluo/ fare qualunque cosa/ di fronte alla bellezza/ che non manca di nulla,/tantomeno delle nostre reazioni».

«Di solito è più facile parlare delle cose brutte» ammette lo scrittore che il 7 e 8 giugno sarà ospite del Teatro Festival Italia di Napoli, dove va in scena la sua pièce, "L'inseguitore". «Violenza, odio e catastrofi possiedono un fascino che preserva dallo scadere nel kitsch. Con la bellezza, invece, rischi di suonare pacchiano, stucchevole. Soprattutto a Zara, che col suo tramonto "marchiato" da Hitchcock è il luogo più critico per mettere a prova la bellezza con la sua stucchevolezza». Il "Discorso di una guida turistica di fronte al tramonto", tradotto in endecasillabi e settenari anche in croato, cattura la bellezza dei monumenti più celebri di Zara, i suoi vicoli, il lungomare, il mercato, le statue, il campanile, il duomo, la facoltà di filosofia, la panchina sul lungomare, il teatro per bambini. Scarpa gioca persino con se stesso, quando si imbatte nella guida "Zadar revisited" di Ante Perkovic che cita "Venezia è un pesce": l'autore sostiene «che in quel libro/ mi sono preso il lusso/ di tralasciare i luoghi più famosi/ e le info per turisti./ Sostiene il vecchio Ante/ che mi sono potuto dedicare/ "alla mia personale/ filosofia e metafisica", proprio/ perché è stato scritto talmente tanto/su Venezia. Ha ragione». «Ho usato la metrica con intenzione – spiega Scarpa – ed anche se i brani sembrano conversazioni, sono versi metrici. Ho voluto, insomma, "pagare" un tributo. Come dire: se vuoi enunciare una cosa importante, devi un po' sudare per ottenere il diritto a dirla. Trovando il ritmo, la misura, il suono, la lunghezza».

Nel frattempo, lo scrittore veneziano continua a lavorare al suo nuovo romanzo, che uscirà in autunno per Einaudi: il titolo è ancora incerto, ma la storia è ben delineata. «È ambientato nell'Orfanotrofio della Pietà di Venezia durante il 700 – svela – Un luogo che mi ha sempre affascinato, forse perché ci sono nato. Negli anni Sessanta, infatti, l'Ospedale Civile vi aveva distaccato il reparto maternità, e questa coincidenza suggestiva mi ha fatto sognare. Ma non sarà un romanzone storico, non è nelle mie corde. Ma da sempre volevo scrivere di questo: sono nato nei locali dove gli orfani venivano allevati e cresciuti, e dove imparavano a suonare violino, violoncello, flauto, clavicembalo e quant'altro. Tra il 1704 e il 1739 Vivaldi lì ha insegnato, scrivendo centinaia di cose per gli orfani. Che suonavano dietro le grate perché non si dovevano vedere in faccia».

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