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Il Giornale – 170707 – Missoni con lana e ciniglia disegna la sua terra

Al muso duro di chi, decenni fa, ne ricacciò i padri e i sogni, loro
rispondono oggi con l'arte e con quanto hanno saputo realizzare lontani
dalla loro terra, in un Paese che li ha accolti come esuli e subito chiamati
fratelli. Loro sono i dalmati italiani che le tormentate vicende storiche
della ex Jugoslavia hanno portato nel Bel Paese.
Italiani dunque, ma anche adriatici e mediterranei, oggi molti di loro
coltivano il sogno e l'ambizione di «riconquistare» uno spazio nella loro
terra d'infanzia: niente politica però, solo cultura e sentimento.

Viaggia con questo spirito la mostra itinerante che raccoglie i lavori di un
gruppo di pittori dalmati italiani. Organizzata dalla Fondazione Rustia
Traine di Trieste, dopo Roma, Trieste, Zara e Spalato l'esposizione approda
a Milano, fino a venerdì, nei chiostri dell'Umanitaria.

Il catalogo degli esuli che per volontà o necessità dovettero lasciare, in
tre ondate diverse fra 1848 e 1918, ma soprattutto dopo le due guerre
mondiali, la Dalmazia è lungo e composto di nomi celebri, fra cui il
giornalista e scrittore Enzo Bettiza, nato a Spalato, e lo stilista Ottavio
Missoni originario di Ragusa (Dubrovnik), «una repubblica marinara più
longeva di quella di Venezia», come sempre ricorda lo stilista.

 Proprio lui il «pittore delle fibre» è la guest star della mostra di via
Daverio: dalla loro collezione privata Ottavio e Rosita hanno scelto una
decina di pezzi per l'evento. Ma non chiamateli arazzi, piuttosto globeni
come si dice in croato. Quadrati o rettangolari, sono una tavolozza dove
ciniglia e lana, cotone e filati si mescolano a ricordare, fra nuance mai
stridenti, i colori e i costumi di una terra che da sempre Missoni ha nel
cuore: «L'ispirazione è ovunque – si legge nella sua presentazione – nelle
cortecce, nelle conchiglie, nella musica e nelle passeggiate che hai fatto».

E di strada Missoni ne ha compiuta molta, a volte correndo, come nei suoi
trascorsi olimpionici, a volte a passo di prigionia come in Africa nel '42,
quindi sulle vie più eteree ma non meno impervie della moda internazionale.

Accanto alle opere, la mostra propone i lavori di cinque pittori
contemporanei che hanno reso grande la Dalmazia nel mondo: di Giuseppe
Lallich (1867 -1953) non poteva mancare Ti con nu, nu con ti , l'addio dei
cittadini di Perasto (Montenegro) al gonfalone di San Marco. È in cielo,
invece, l'atelier di Tullio Crali ( 1910-2000): dalla visione della Tour
Eiffel, alla Festa di tricolore, allo sguardo del Paracadutista un istante
prima del lancio. Accanto alla sua Aeropittura, espressione della sua
vicinanza al Futurismo di Marinetti, non mancano commoventi ritratti di
prigionia, a semplice matita. Poi alcune, intense sculture di Waldes Coen,
mentre di Franco Ziliotto, astrattista, c'è una selezione di Orizzonti e
Architettura. Chiudono alcune tele di Secondo Raggi Karuz, tanto apprezzato
in Giappone da affidargli la realizzazione degli affreschi di chiesa Edo-no
S.Maria di Tokyo.

«L'obiettivo è valorizzare il legame fra popolazioni con la stessa matrice
culturale – spiega l'onorevole Renzo de' Vidovich, presidente della
fondazione promotrice – e cominciare a ragionare in un'ottica di regioni e
identità culturale e non più solo di stati, politicamente intesi».

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