Salvadigo (selvaggio), maniga (manica, gomma da giardino), schisa (goccia), scansia (scaffale), badil (pala), molena (mollica del pane). Sono queste alcune delle parole del dialetto italiano istroveneto che regolarmente, nello stile retorico „questa la conoscevi?“ vengono proposte all’interno del gruppo Facebook „Polesani de Pola“.
In questo modo viene fatto un tentativo di perservare dall’oblio un patrimonio linguistico e lessicale che per secoli ha contraddistinto l’Istria occidentale e che negli ultimi settant’anni si sta irrimediabilmente perdendo. Parole come carega (sedia) o mezaria (linea di mezzo, in metà) sono già desuete, altre, come becher (macellaio), venderigola (commessa) o binbin (termine con il quale si indica in modo affettuso l’organo sessuale dei bambini maschi) stanno quasi scomparendo.
Con la chiusura del cantiere navale Uljanik (Scoglio Olivi), dove fino praticamente a ieri venivano, seppur storpiati, ancora usati termini del dialetto italiano quali “strangolin”, “imbragador” (pare che invece “cazavide” stia sopravvivendo), anche gran parte del dialetto socializzato si sta perdendo.
In questo contesto va ricordato che anche la Comunità degli Italiani di Pola, sulla facciata orientale dell’edificio del palscoscenico esterno ha apposto un grande cartello con l’elenco di una lunga serie di parole in plesano: caligo, cucal, cogoma, cotoler, fersora, intimela, linguassa, lughero, luganiga, saliso, siserbola, slepa, stomigoso, remenar…
E poi ci sono i modi di dire:”oggi cori el can, domani cori el levero” (oggi corre il cane, domani corre la lepre), o il famosissimo “va remengo” che non ha bisogno di traduzione.
Silvio Forza
Fonte: Istra24 – 15/07/2023