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Il mare di confine del Quarnaro (La Stampa 22ago13)

Meno di mezz’ora di traghetto da Brestova (sulla costa orientale dell’Istria) per approdare a Porozine sulla bislunga isola di Cherso (Cres), tutta pietrose ruvidezze carsiche e discese ardite lungo tortuose stradine sfocianti in radi e gratificanti porticcioli che la bianca muraglia rocciosa protegge dalla bora. Si allunga all’esterno di un grappolo di isole (Krk, Rab, Pag le maggiori, molte disabitate) che si frappongono alla vista della costa croata, così delimitando un mondo liquido chiamato Quarnaro, nome probabilmente derivante da «carnarius», divoratore di carne, riferito al mare le cui correnti hanno restituito gran quantità di cadaveri alle rive in tempi in cui gli strumenti di bordo erano meno sofisticati degli attuali. Si allunga fino a Lussino (Losinj), con cui originariamente faceva un corpo unico prima che qualcuno, già in tempi antichi, avesse l’idea di dare un colpo d’ascia all’istmo sottile che le univa. Taglio ombelicale compensato da un ponte girevole lungo appena una decina di metri, suggellante una diversità paesaggistica e microclimatica.

A Cherso crescono la salvia, il mirto e la ginestra. A Lussino le agavi e le buganvillee, le palme e le yucche, si coltivano aranci e limoni e il mandorlo fiorisce già a gennaio. Temperata d’inverno e alleviata da brezze marine d’estate, Lussino. E grazie a questo emancipata dall’isola madre, sopravanzandola d’importanza: meta ambita di aristocratici austroungarici e scuola di marineria, teatro di armatori e fucina di navigatori prima di diventare ambito approdo turistico che ha il suo epicentro nella liscia scogliera prodiga di alcove naturali e ombreggiata dalla pineta che dal porticciolo di Lussinpiccolo scorre fino alla baia di sassi levigati dal mare di Cigale.

In comune, Cherso e Lussino, hanno l’incessante frinire di cicale per colonna sonora e l’aroma di datteri di mare e scampi «alla buzara» e cevapcici proveniente dalle trattorie, oltre a formare insieme il cuore del Quarnero che, per usare le parole di Claudio Magris in Microcosmi, «è incontro di ariosa venezianità e greve Mitteleuropa continentale che a Fiume sfocia nell’Adriatico, è raccolta familiarità di case bianche sulla riva; più oltre iniziano distese più vaste, solitudini pietrose e marine più estese e vegetazione più lussureggiante, un Oriente e un Sud più rigogliosi, meno temperati da quella ritrosa asprezza nordica che c’è ancora nei sassi dell’Istria e delle isole quarnerine».

Un «più oltre» col quale Lussino ha quasi una funzione di ponte. Perché da lì già si può immaginare di intravvedere Zara, capitale «nordica» della Dalmazia, striscia costiera al di qua della frastagliata catena balcanica che scorre lungo la Croazia fino alle al Montenegro, cosparsa di fari oggi convertiti in originali rifugi per turisti in eremitica fuga dalle spiagge affollate e alle cui rive si affaccia una costellazione di isole che formano una sorta di mare interno, riparo naturale per naviganti d’ogni epoca. Sulla Porta del Mare di Zara, che celebra la battaglia di Lepanto, è tornato a ruggire il Leone di San Marco, dopo che partigiani titini l’avevano scalpellato via nel 1945, in quanto simbolo di sgradita «italianità».

Il piccolo borgo antico di Biograd sfocia in un moderno grande porto turistico e su spiagge sassose che guardano le isole (la più grande è la lunare e disperata Pag, impietosamente spellata dalla bora) e l’intenso traffico di imbarcazioni d’ogni stazza che come palline di un flipper acquatico rimpallano impazzite dall’una all’altra aggrovigliando le scie. Ma ogni volta che si mette piede a terra, su ognuna di esse, ogni frenesia si placa in una calma antica che non ha nulla da spartire con le isole mediterranee più perseguite dal turismo di massa, tantomeno con quelle votate al trendysmo edonistico.

In un’assenza di approdi definitivi, nella sola presenza di attracchi provvisori, sopravvive il senso di un mare che è stato teatro di un insolito intreccio di contese e di traffici, luogo di passaggio continuo, irripetibile combinazione di venezianità, slavità, grecità, disordine piratesco e ordine asburgico. E così fino alla più caotica e colorita Spalato e le «sue», di isole, che non hanno soluzione di continuità con l’arcipelago zaratino e che sfumano dall’orizzonte dalmata solo via via che ci si avvicina alla preziosa Dubrovnik, rinchiusa nelle sue storiche antiche mura come in una teca con vista sul mare aperto, ormai già in prossimità delle Bocche di Cattaro condivise col Montenegro.

Roberto Duiz
www.lastampa.it 22 agosto 2013

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