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Il martire istriano Don Bonifacio è Beato (RadioVaticana 04 ott)

Oggi pomeriggio è stato beatificato, nella cattedrale di San Giusto a Trieste, il sacerdote istriano don Francesco Bonifacio, ucciso in odio alla fede dai miliziani di Tito nel 1946. Ha presieduto il rito il vescovo di Trieste Eugenio Ravignani, mentre ha pronunciato la formula di beatificazione l’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, che al termine della Messa ha rivolto ai fedeli un discorso. Ce ne parla Sergio Centofanti. 
Mons. Amato mette in risalto “l’eroico martirio” subìto da don Bonifacio “per amore di Cristo e del suo Vangelo”. Preso dai miliziani titini, fu “crudelmente torturato” – ricorda il presule – e “buttato in una foiba come la carcassa di un cane”. Eppure il sacerdote, aveva 34 anni, perdonò i suoi assassini. In tutta la sua vita don Bonifacio era stato un “seminatore instancabile di luce e di speranza in un momento di grave sofferenza e di morte”. Ma “ancora oggi – sottolinea mons. Amato – la Chiesa subisce persecuzione” e “ai cristiani è negata clamorosamente la libertà religiosa” o tale diritto è limitato, come in Aghanistan, Arabia Saudita, Corea del Nord, Cina. “C’è una vera e propria geografia del terrore”. In Cina – rileva – “si imprigionano vescovi, sacerdoti e semplici fedeli per il semplice fatto di essere cattolici non sottomessi al regime”. In Etiopia viene perseguitato chiunque predica il Vangelo, mentre in Eritrea duemila cristiani sono detenuti. In Nigeria i discepoli di Cristo sono rapiti per essere convertiti con la forza all’islam. In India, ma anche in molti altri Stati come in Sudan i cristiani vengono massacrati, le Chiese bruciate e così i loro ospedali, scuole e case e tutto questo avviene “nell’indifferenza del mondo”. “Si fanno campagne per la protezione di animali in via di estinzione – afferma mons. Amato – ma nessuna campagna è stata fatta per la difesa della libertà religiosa dei cristiani”. E anche nell’Occidente – aggiunge – “c’è spesso una persecuzione anticristiana sotterranea fatta di derisione, di stravolgimenti di fatti e di parole, di offese, di promulgazioni di leggi inique”. Mons. Amato invita i credenti a seguire il coraggio di don Bonifacio per proclamare il Vangelo dell’amore nella sua integralità. Ma sulla figura del sacerdote istriano ascoltiamo il ricordo del fratello, Giovanni Bonifacio, oggi 84enne, al microfono di Fabio Colagrande:
 
R. – Era un sacerdote che viveva il Vangelo con la gente. Mai, mai era da solo, era sempre in movimento: tra i malati, ad insegnare catechismo, sempre in giro per i villaggi. Tornava a casa stanco, tanto stanco e poi recitava il Rosario. E poi il giorno dopo, continuava sempre con la sua pastorale.
 
D. – Che ricordi ha del giorno in cui suo fratello scomparve?
 
R. – Quando lo hanno portato via – la sera dell’11 settembre – la gente lo ha saputo subito, perché hanno suonato le campane. Poi il giorno dopo sono andato in cerca per i boschi per trovarlo…. E mia mamma dava a noi coraggio, dicendoci “Pazienza, abbiate pazienza e vedrete che lo rilasceranno…”. Ma, purtroppo, non lo hanno mai rilasciato. Qualcosa poi l’ho saputo, anche come l’hanno ucciso. Ma senza mai provare nessun odio verso coloro che hanno fatto del male a mio fratello…. Ancora adesso li perdoniamo!
 
D. – Quindi lei perdona le persone che hanno ucciso suo fratello?
 
R. – Ma certo. Mio fratello è stato il primo a perdonare, proprio quando lo uccidevano. Lui era già pronto al martirio. Scherzando con l’altro mio fratello diceva: “Mario, se mi butteranno in una foiba, spero che ci sia dentro un materasso!”. Lui sapeva tutto, l’ho avvisato io stesso tramite uno del partito, che mi aveva detto: “Avvisa don Francesco, perché hanno intenzione di far sparire tuo fratello”. Eravamo tutti in pericolo e lui più di tutti.
 
D. – Cosa rappresenta per voi familiari la cerimonia che si svolge a Trieste?
 
R. – Sia io che i miei familiari abbiamo desiderato, abbiamo sperato, abbiamo pregato affinché mio fratello salisse all’onore degli altari. Il Signore ci ha esaudito. Adesso ci sarà questa grande cerimonia. Nessuno avrebbe mai pensato che un sacerdote così povero, come tutti noi della sua famiglia, sarebbe stato onorato e venerato sull’altare, che sarebbero state onorate le sue reliquie. Io, insieme ai miei familiari, doniamo alla diocesi di Trieste il suo calice e la sua stola: il calice è quello della prima Santa Messa e la stola è quella che indossava nella processione che lo ha accompagnato nel percorso da casa al Duomo di San Giorgio di Pirano. Ora sono a disposizione del vescovo e della diocesi per poterle, un domani, anche venerare ed onorare.

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