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Il moderno patriottismo degli sloveni nell’impero (Il Piccolo 28 mar)

di MARINA ROSSI

La rivoluzione borghese del biennio 1848-1849, seppur soffocata, lasciò un segno profondo in tutta l’Europa centrale e in particolare nei territori dell’impero asburgico, intaccando ovunque istituzioni e rapporti ormai superati e accelerando il processo di modernizzazione e di industrializzazione.

Con l’affrancamento delle servitù feudali, anche i popoli sloveni uscirono così dal novero delle “genti senza storia”, esprimendo strutture di classe differenziate, con propri partiti politici e circoli culturali.

Tra il 1860 e il 1865 sorgono in città e nel territorio le citalnice (gabinetti di lettura); nel 1869 nasce la Pchèla (L’ape), prima organizzazione operaia slovena; nel 1875 la Edinost (Unità), società politica che avrà anch’essa come interesse primario la questione delle scuole; fece venire intellettuali sloveni a Trieste, e nel 1876 fonda l’omonimo giornale, che durerà sino alla soppressione da parte del fascismo. Si forma un ceto medio sloveno che impone il confronto nazionale in termini moderni.

Lo sviluppo di un’economia di mercato fa sorgere una rete di Casse di credito a struttura cooperativa, e poi la fondazione di istituti finanziari sloveni e, nel 1905, della Jadranska banka. È il modo di formazione del capitale proprio delle nazionalità subalterne.

Anche nel mondo sloveno vale il criterio della compattezza etnica, e si moltiplicano sale di lettura, circoli culturali e ricreativi, sezioni di partito, che non di rado avevano sede negli edifici di banche e società economiche. La società “Cirillo e Metodio” (Bratovscina sv. Cirila in Metoda) aprì nel 1888 la prima scuola elementare slovena in città, e nel 1914 gestiva 49 classi; il Narodni dom (Casa nazionale) fu costruito all’inizio del secolo in zona centrale, con la spesa di due milioni di corone; nel 1903 gli Sloveni ottennero l’introduzione della loro lingua nei tribunali.

Due fronti nazionali dunque, ma pure due diverse valenze dell’idea di patriottismo.

Incompatibile con i due irredentismi è il programma politico del socialismo triestino: strettamente legato alla socialdemocrazia viennese, particolarmente a Victor Adler (1852-1918), rientrava nell’alveo della società, conformemente ai deliberati del congresso di Brno del 1899. Gli iscritti erano organizzati per nazionalità. A Trieste vi erano tre gruppi: l’italiano, lo sloveno ed il tedesco. L’attuazione del progetto socialdemocratico, in cui assumeva particolare rilievo l’opera educativa, non poteva, però, prescindere dalla salvaguardia dell’unità territoriale dell’Austria, particolarmente per Trieste, il cui rapporto con il retroterra era considerato essenziale alla difesa dei suoi interessi economici.

 

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