Formata nel 1918 dall’unione della Serbia e del Montenegro con le provincie austro- ungariche di Slovenia, Croazia, Dalmazia e Bosnia Erzegovina, la Jugoslavia dell’esordio narrativo del magistrato Lucio Toth è uno sfondo storico-geografico e un mosaico regionale etnico- amministrativo di difficile identità ideale e ideologica. Il romanzo si intitola La casa di calle San Zorzi (Sovera, pagine 318, euro 19,00).
Dalla monarchia in essere nel ’21 al centralismo serbo del ’28; dall’invasione italo-tedesca del ’41 ( respinta nel ’45 dai partigiani di Tito) sino alla rottura con l’Urss del ’48 e alla recente regolazione dei confini del ’75, il teatro bellico-politico ospita la lunga e complessa vicenda di romanzesca realtà di parecchie famiglie dalmate attraverso le tempeste del ’900.
Alla storia grande, infatti, si alterna la storia minima e oscura di gente legata da vincoli di parentela e di sangue che le guerre disperdono e frantumano.
L’abilità di Toth , che ha dettagliatamente memorizzato e ancor più finemente annotato cent’anni di vicissitudine, sta proprio nell’aver posto in un affresco di esperta potenza cromatica figure e ragioni, individui e popolazioni, comportamenti di singoli e strategie di stati.
Il tutto accompagnato da nette linee di giudizio socio- politico-diplomatico, nonché puntualmente morale, assieme a un ricco corollario di memorie culturali, citazioni classiche e di filosofico retaggio, senso vivo dell’antropologia e dei costumi, così come delle tradizioni religiose e delle coscienze. Finis Austriae e D’Annunzio; fascisti, nazifascisti e partigiani; Zara distrutta e crisi del comunismo iugoslavo anni ’70; Vietnam e fine di Tito: è tale il coinvolgimento di singoli e di società, e tanti i nomi che ad ogni pagina sbucano dal testo che è d’obbligo lasciare al lettore trama dei fatti e diorama panoramico dei personaggi e dei paesaggi.
Tutto un minuzioso diario che s’accampa nel giro di uno struggente compasso logistico manovrato con agile regia espositiva tra Mitteleuropea e trentottesimo parallelo, tra Zara e Liguria, tra Vienna e Parigi. Atti di solidarietà, di ubbidienza, di eroismo e atti di ostilità inaudita, crudeltà efferata, proclamata e protetta.
Il dramma delle foibe, ad esempio, dove leggi antiche di luoghi selvatici, segreti di civiltà solari, regni di innocente bellezza alpina, sarebbero diventati luoghi di morte, echi di orfici orrori e di sepolte barbarie.
Tullio, Dario, Arrigo e Stefano Veltz (l’uno accanto all’altro lungo una intrecciata saga familiare); il capitano Federico La Moffa (un po’ patriota ma anche un po’ intrigante); Silvio Dejan, il federale, e una marea di zii, quasi scie di comete generazionali.
E fra i tanti altri don Bepo (una vocazione e una volontà fuori del comune), con pope Spiros (il pendant ortodosso), esempi di pace e di fraternità umana e spirituale.
Il mondo intorno, purtroppo, conserva ancora strascichi di rancori, sconfitte non superate, controversie e contrapposizioni non risolte. Nella storia atti di solidarietà, di ubbidienza, di eroismo e atti di ostilità e crudeltà inauditi, come nelle tragedie delle foibe.