L’analisi dello scrittore triestino Rumiz: nei mosaici di Aquileia la chiave per ripensarci e guardare al futuro
I o c’ero quando venne Giovanni Paolo II a Trieste. Era appena finita la guena nella ex Iugoslavia, almeno vicino alle nostre frontiere, e si respirava un cessato allarme. Allora il Papa pronunciò quella frase di estrema importanza: “Non abbiate paura”. Settantanni di disastri di frontiera avevano creato antagonismi pesanti lungo quel crinale. L’uomo che aveva contribuito a far cadere il muro di Berlino aveva il coraggio di rilanciarci, senza più temere la frontiera». Paolo Rumiz, giornalista e scrittore nato a Trieste, ricorda nitidamente la visita del Papa polacco in Friuli Venezia Giulia, il carico di speranza ma anche la fatica delle genti del Nordest a raccogliere concretamente il suo invito. «Purtroppo l’ammonimento di Wojtyla non è stato ascoltato in pieno. Non c’era più il nemico alle porte ma la politica non è stata capace di rinnovarsi, continuando a rivendicare vecchie rendite di posizione». Per Rumiz la situazione è paradossale: «Rilevo un dato, tanto più pensando al Papa tedesco. Mentre la Germania ha saputo unire Est e Ovest nel giro di vent’anni e un -tedesco arriva quasi a Pietroburgo senza mostrare passaporto, noi qui, dal nostro Nordest italiano, possiamo arrivare al massimo a Lubiana. Oltre comincia l’altra Europa. Come si spiegano queste due velocità? Azzardo: la Germania ha fatto i conti con il passato, il nostro Paese è ancora incapace di rielaborare onestamente la sua storia per liberarsi delle zavorre e aprirsi all’esterno, soprattutto verso Est. Non è possibile che la famosa locomotiva del Paese non abbia una politica verso Oriente. Per assurdo Trieste era più collegata con Austria, Ungheria ed ex-Jugoslavia vent’anni fa di quanto lo sia oggi». Per lo scrittore triestino, le circostanze odierne spingono il Nordest ad aprirsi verso Sud. «Affacciati sull’Adriatico, siamo il punto del Mediterraneo che collega Europa e Africa. L’Adriatico è sempre stato grande canale di comunicazione, punto di sutura tra Oriente e Occidente, Nord e Sud. Basti pensare a quanti simboli della Chiesa aquileiese sono alessandrini di ispirazione. La croce di Aquileia ha un cerchio che richiama un simbolo egizio antico. Nella nostra lingua antica “arcobaleno” si dice “arco di san Marco”. Occorre avere presenti queste origini, per ripensarci e capire quanto ci riguarda quel che accade nel Nord Africa».
A Benedetto XVI in procinto di visitare il Nordest Nordest, Rumiz – che ha raccontato nei suoi reportage il nostro Paese e le terre confinanti, soprattutto verso Oriente – vorrebbe sottoporre alcuni temi. «Il Papa arriva in una terra “incartata”, che ha perso il senso della propria vocazione incisa nei mosaici di Aquileia. Avverto l’urgenza di affrontare la questione dell’accoglienza degli stranieri. Siamo un condensato di contraddizione: le terre che continuano a dare un gran numero di missionari esprimono anche la peggior xenofobia. Coabita il massimo dell’apertura con il massimo del rifiuto aggressivo del diverso. Occorre sviluppare maggiore capacità di ascolto reciproco: della paura di chi vive qui, e vede arrivare masse di persone straniere, e del bisogno di chi giunge qui per sopravvivere. Aquileia potrebbe offrire la chiave per uscire da questa contraddizione e guardare avanti». (L.C.)
(courtesy MLH)