Da ”Nove per due” di Anna Maria Mori pubblichiamo l’inizio del primo capitolo, per gentile concessione della casa editrice Marsilio.
di ANNA MARIA MORI
Ore 17 e 30
«Complimenti, signora lei aspetta un bambino».
Sono andata da sola allo studio medico per fare il controllo. Ed esco da sola. Sola, sul marciapiedi che corre parallelo a una strada, sul Lungotevere, dove scorre, come sempre, un serpente ininterrotto di macchine, mi scopro a piangere. Piango silenziosamente e mi dico che non capisco perché. Perché questo bambino l’ho cercato, l’ho voluto, l’ho deciso. E piango.
Le lacrime mi offuscano la vista, cammino meccanicamente, e le lacrime mi fanno da corazza: sono chiusa dentro di loro, e non vedo, non guardo né il traffico a lato, né le persone che mi camminano di fianco o di fronte, e che vedendomi piangere penseranno a un lutto, a chi sa quale disgrazia, magari qualcuno, dio ne guardi, mi si avvicinerà dicendomi: «Posso aiutarla?», e io cosa potrà rispondergli? «No, sa, non è niente: è solo che mi hanno detto adesso che aspetto un bambino…».
Già: non è niente. Ma, come niente? È tanto, tantissimo, tutto. E però continuo a piangere. Piango e non guardo, non vedo neanche gli alberi sopra di me, che però, a loro modo, mi accarezzano: è autunno, novembre, quasi inverno, e c’è una pioggia di foglie che cade silenziosamente sul selciato, qualcuna anche mi sfiora, leggera.