ANNIVERSARIO Convegno nel bicentenario della nascita dell'Istituto giuliano
di storia e documentazione
In dicembre, invece, si seguiranno le tracce perdute del generale nella
Trieste asburgica e di un inedito Slataper di tema garibaldino
Trieste indaga Garibaldi e l'Adriatico orientale
Il mito dell'Eroe dei due Mondi nella città diventata per ultima d'Italia
In tre libri una leggenda che non muore
Quest'anno si celebra il secondo centenario della nascita di Giuseppe
Garibaldi e il calendario delle manifestazioni che, in Italia e all'estero,
ricorderanno l'Eroe è fitto, oltre che molto articolato. Su Garibaldi e
sulle sue imprese la letteratura ha, negli anni, prodotto una quantità
sterminata di libri, saggi, analisi. Non a caso sono appena arrivati in
libreria tre saggi che proprio questo aspetto indagano: «Garibaldi, l'invenzione
di un eroe» di Lucy Riall (Laterza, pagg. 605, euro 28,00), «Camicie rosse.
I garibaldini dall'unità alla Grande guerra» di Eva Cecchinato (Laterza,
pagg. 376, euro 20,00), «Garibaldi fu ferito – Storia e mito di un
rivoluzionario disciplinato» di Mario Isnenghi (Donzelli, pagg. 216, euro
14,00).
Sinora gli studi storici e biografici sono stati quasi tutti di tipo
celebrativo: la nuova Italia appena e precariamente unita ha trovato in lui,
eroe dei Due mondi e dei Mille, uno degli emblemi che più unificanti a
livello popolare. È nato così un monumento solidissimo che ha avuto
ammiratori a ogni livello e nel corso del tempo (si ricordi la passione di
Craxi) è andato costantemente autoalimentandosi.
Il libro della storica inglese Lucy Riall spiega come e perchè sia nato il
mito, chi l'ha voluto, chi ne ha beneficiato. Non bisogna, comunque, credere
che dal Garibaldi della Riall venga solo una spallata all'icona dell'Unità
d'Italia e dell'anticlericalismo. Il libro è essenzialmente da leggere
nell'ottica dell'analisi della creazione del Mito, reso tale grazie
all'aspetto fisico, agli abiti pittoreschi, ma anche ai modi semplici e
all'«austero stile di vita che seguiva» e che «accentuarono il fascino
seducente di un eroe che non si era lasciato trasformare dal culto di cui
era divenuto oggetto».
Mario Isneghi nel suo libro ne raccoglie l'olografia ma anche le dinamiche
conflittuali, cui le varie forme del mito diedero vita. Un mito che può
risorgere ogni volta in forme diverse e che gravò anche sui reduci
garibaldini sopravvissuti al loro creatore. Non a caso Eva Cecchinato ha
dedicato la sua attenzione agli uomini che seguirono il Garibaldi-uomo anche
dopo la sua morte, essi stessi strumentalizzati a favore della leggenda.
di Fulvio Senardi
In un'Italia che contempla, attonita e incapace di reagire, i mille segni
del suo declino, si moltiplicano in questo 2007 gli annunci di celebrazioni
garibaldine, messaggi che trasudano la nostalgia per un ethos civile di cui
è andata perduta ogni traccia nelle pratiche odierne della vita collettiva.
In realtà non tutte le manifestazioni pensate per celebrare il bicentenario
della nascita – che cade domani – dell'unico vero eroe popolare dell'Italia
moderna vanno esenti da un sospetto di frivolezza (il Giro d'Italia dedicato
all'Eroe dei due mondi, la crociera di mille studenti sulla rotta dei Mille,
ecc.): vendetta della società dell'effimero nei confronti di chi ha fatto
l'Italia, o strizzatina d'occhio, involontariamente ironica, a quei
meccanismi di creazione del mito che anche l'eroe nazionale ha saputo così
bene amministrare (come ha evidenziato la monumentale ricerca di Lucy Riall:
«Garibaldi. L'invenzione di un eroe»)?
Comunque, ciò che più conta è il fatto che, dopo decenni di disinteresse e
di silenzio, si ricominci a parlare del Risorgimento, di quella breve
stagione in cui sembrò per un momento che gli italiani fossero capaci di
dimenticare il proprio «particulare» per riconoscersi, fino al sacrificio,
in un grande progetto condiviso.
È un paradosso che ciò avvenga in questi anni di lunga crisi? Ha scritto
Mario Isnenghi in un libro, appunto, garibaldino («Garibaldi fu ferito.
Storia e mito di un rivoluzionario disciplinato»), «localismo e
clericalismo, facendo di nuovo ai nostri giorni affiorare
l'Anti-risorgimento, hanno almeno avuto il merito di contraddire la messa in
questione più radicale e distruttiva di tutte, cioè la sopraggiunta
negligenza che apre la strada all'oblio».
Com'è ovvio, in tanto fervore di iniziative Trieste non rimane indietro: non
lo ha fatto nel 2005 quando una piccola ma meritoria associazione,
l'italo-ungherese «Pier Paolo Vergerio» ha saputo dire qualcosa di nuovo a
proposito di Mazzini con un convegno internazionale («Mazzini e il
mazzinianesimo nel contesto storico centro-europeo») i cui Atti sono, dalla
fine del 2005, a disposizione di tutti, e non si tirerà indietro per
l'anniversario garibaldino, per la cui celebrazione l'Istituto giuliano di
storia e documentazione, presieduto da Tino Sangiglio – una di quelle
associazioni che vivono di volontariato e di qualche briciola di
finanziamento pubblico – ha programmato un incontro sul «Mito di Garibaldi
sull'Adriatico Orientale», arricchito di qualche apertura sull'entroterra
danubiano.
Scriveva Giani Stuparich in Trieste nei miei ricordi per spiegare il
particolare clima del patriottismo triestino: «il nostro non era ne
affievolito né superficiale romanticismo, se dentro di noi un Mazzini e un
De Sanctis poterono rivivere con tanta foga e intensità, quando sembravano
ormai echi perduti nell'anima della nazione : fummo noi triestini gli ultimi
degli italiani a raccogliere senza titubanza l'eredità spirituale del
Risorgimento». Si tratterà allora di cogliere le radici e di capire le
manifestazioni del «mito di Garibaldi» nella città d'Italia che per ultima
lo è diventata ufficialmente, ampliando, ma verso il passato, quel discorso
di scoperta e di recupero lanciato dall'antologia «L'altra questione di
Trieste», curata da Karlsen e Spadaro.
Studiosi triestini o attivi nella nostra città – fra di loro Fulvio
Salimbeni, Diego Redivo, Edda Serra, Simone Volpato -, istriani (Kristjan
Knez della «Società di studi storici e geografici» di Pirano), di area
centro-europea seguiranno, in un incontro fissato per il 7 dicembre nella
saletta dell'Istituto giuliano in via Trento 15, tracce perdute, o quasi,
della tradizione garibaldina, sugli scenari, in primo luogo, della Trieste
asburgica.
Si metterà così in luce, per esempio, il ruolo irredentistico del «circolo
Garibaldi», verrà illustrato un importante inedito di tema garibaldino di
Scipio Slataper ginnasiale, saranno evidenziati i modi complessi e
conflittuali della celebrazione nella Trieste del 1907 del primo centenario
di Garibaldi, e non si mancherà di soffermarsi sull'impegno letterario e
civile di Giani Stuparich, il più illustre mazziniano triestino, colui che,
ancora nel 1947, volle interpretare la Resistenza, nell'ampia introduzione
ai suoi Scrittori garibaldini, come una rinascita dello spirito
risorgimentale.
Tutte cose, potremmo dire parafrasando Saba, «nate sotto la stella di
Garibaldi», come la Canzone di Lavezzari nella Buffa del concittadino Giulio
Barni, poesia di guerra (della I guerra mondiale, per l'esattezza) «la più
bella che abbia ispirata l'Ombra del Condottiero», secondo il poeta del
Canzoniere, ultima scintilla di idealità in camicia rossa (un incoercibile
spirito libertario, una vivace tradizione democratica e perfino un'ombra di
antica cavalleria) che, con il loro spegnersi (e non a caso la prima
edizione della Buffa fu sequestrata nel 1935), hanno preparato, per dirla
con Huizinga, la novecentesca «crisi della civiltà».