Gorizia – Clara Morassi Stanta: «Deportati, Lubiana ci dia gli altri documenti» La città ha ricordato i 665 goriziani scomparsi in Jugoslavia a guerra finita
Il sindaco Brancati si dimostra ottimista: «Potrebbero arrivare in tempi molto stretti»
Clara Morassi Stanta: «Deportati, Lubiana ci dia gli altri documenti»
di Guido Barella
«Ormai sono anziana, ma c’è una cosa per la quale combatterò finchè avrò fiato: la memoria. Perchè la memoria è la storia e la memoria delle deportazioni in Jugoslavia è la storia di una città che è stata decapitata. È la storia di Gorizia. Perchè io sono incapace di provare odio, io non odio nessuno. Ma al tempo stesso io sono incapace di dimenticare». Clara Morassi Stanta è l’anima del Comitato dei familiari dei deportati in Jugoslavia a guerra finita. Pronuncia queste parole mentre si appresta a partecipare alla cerimonia con la quale – come ogni 3 maggio – al Lapidario del parco della Rimembranza si ricordano i 665 goriziani vittime dei titini. Un anno e mezzo fa la signora Morassi Stanta aveva ricevuto l’elenco con i 1048 nominativi di vittime delle foibe, redatto dalla ricercatrice slovena Natasa Nemec e giunto al sindaco di Gorizia Brancati attraverso il ministero di Lubiana e il Comune di Nova Gorica, e l’aveva affidato al prefetto De Lorenzo, il quale aveva concesso all’associazione un ufficio in prefettura. «All’epoca ci era stato detto che quello era un primo elenco di nomi – ricorda Clara Morassi Stanta – ma in realtà io attendo ancora il seguito. Non è mai più arrivato nulla. E quel ’primo’ elenco in realtà riportava notizie in larghissima parte già note: l’unica vera novità era rappresentata dall’elenco dei ragazzi che erano stati portati via dagli ospedali. Ma dopo la consegna di quel documento non è più giunto altro, assolutamente nient’altro. Certo, il muro di gomma è stato squarciato, ma, ecco, vorremmo ora fare un passo in avanti. Dalla Russia sono tornati e stanno continuando a tornare i resti dei soldati caduti nel corso della guerra mentre noi, qua, non sappiamo nulla di avvenimenti succedutisi a due chilometri da casa. Ci basterebbe un nome, un’indicazione: per portare un fiore, per mettere una croce, per recitare una preghiera». Sarà il sindaco Brancati, durante la cerimonia al Lapidario, a riaccendere la speranza: «So che Natasa Nemec ha già concluso o sta per concludere un nuovo studio, un nuovo approfondimento su questi temi». Intanto, la pubblicazione, poco più di un anno fa, dell’elenco redatto dalla Nemec, aveva acceso l’interesse sui fatti avvenuti sul questo confine nel 1945 in tutta Italia. «Si era scatenata l’attenzione l’interesse di tutti i giornali, perfino in Sicilia un quotidiano aveva pubblicato quell’elenco. Perchè tantissimi erano anche i soldati scomparsi, ragazzi provenienti da ogni angolo del Paese del quale non si era saputo più nulla. E allora per mesi siamo stati subissati di richieste – ricorda Clara Morassi Stanta -: è stato doloroso, tornavo ogni volta a casa da quell’ufficio messo a nostra disposizione in Prefettura molto provata, spesso sconvolta. Ma in quanti ci chiamavano c’era tanta voglia di parlare, di condividere con qualcuno un dramma del quale non avevano mai potuto confidarsi con nessuno. Si sono instaurati rapporti per via epistolare o telefonica, sono nate amicizie con persone mai viste prima. E ancora oggi ci troviamo ogni lunedì dalle 16 alle 18 e per la disponibilità offerta non finirò mai di ringraziare il prefetto di Gorizia. Noi dell’associazione ormai siamo anziani. Il Comitato era nato fra le mamme e le mogli dei deportati, ormai sono rimaste tre quasi centenarie… Adesso ci siamo noi, le figlie dei deportati, ma anche noi stiamo diventando vecchie, qualcuna ci ha già lasciato, come la signora Lidia Giana. Io ho un paio di amiche, anche loro figlie di deportati, che mi aiutano, ma ho anche al mio fianco, fortunatamente, mia figlia. Perchè, appunto, c’è qualcosa che desidero non si perda mai: la memoria».