Dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943 e l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre dello stesso anno, in seguito al quale l abbandonava l’alleanza con la Germania di Hitler passando, come “cobelligerante”, dalla parte degli Alleati, l’Italia venne divisa in due parti.
ll sud, formalmente guidato ancora dalla monarchia dei Savoia con a capo il governo del generale Badoglio, di fatto passava progressivamente in mano alle Forze Alleate che nel corso della Campagna d’Italia risalivano lo stivale cacciando i Tedeschi. Al nord invece, venne istituita la mussoliniana Repubblica sociale italiana, che si riproponeva di mantenere in vita il fascismo, anche se non più sotto spoglie monarchiche bensì repubblicane.
Il contesto storico che condusse a bombardamenti
Qual era stata, in quel frangente storico, la sorte dell’Istria? Pur trovandosi al nord, non venne incorporata nella Repubblica sociale: le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume vennero incluse nella Zona d’operazioni del Litorale adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland). In altre parole, l’Istria smetteva di essere italiana e si ritrovava al’interno, pur provvisoriamente e in situazioni belliche, del Terzo Reich.
In questa maniera, specie dopo lo sbarco alleato in Sicilia il 10 luglio del 1943 che consentì agli alleati di istituire basi aeree in Italia, Pola diventava per gli alleati un porto militare da neutralizzare, una città nemica.
I Tedeschi erano entrati a Pola tre giorni dopo la capitolazione dell’Italia avvenuta l’8 settembre. Già il giorno dopo le unità della marina italiana avevano abbandonato la città: da Pola salparono la corazzata Giulio Cesare, la corvetta Urania, la torpediniera Saggitario i sommergibili Serpente, Mameli e Pisani, la cannoniera Aurora, vari dragamine e alcuni Mas.
Sabato, 11 settembre, circa 350 marinai tedeschi occuparono il cantiere navale Scoglio Olivi (oggi noto come “Uljanik”) e alle ore 21 dello stesso giorno entrò in città la 71-esima Divisione di fanteria comandata dal generale Wilhelm Raapke.
Questo, in sintesi, il contesto storico che sta all’origine dei 23 attacchi aerei (13 bombardamenti pesanti e altre 10 azioni più limitate) che investirono Pola dal 9 gennaio 1944 al 3 marzo 1945.
Raul Marsetič, oggi direttore del Centro di Ricerche storiche di Rovigno, nel suo libro “ I bombardamenti alleati su Pola 1944-45”, pubblicato nel 2004 e fonte dettagliatissima di dati inerenti l’argomento (disponibile gratuitamente in formato Pdf: https://www.crsrv.org/pdf/monografie/Monografie_08.pdf), scrive che le bombe degli alleati provocarono in tutto la morte di 243 persone anche se, “la stima, per essere completa, dovrebbe arrivare a 270, anche 280 vittime. Il numero dei feriti fu di 800”.
Tra i bombardamenti più duri, oltre al primo del 9 gennaio 1944, vanno ricordati anche quello del 19 febbraio ’45, quando 200 bombardieri pesanti B-24 più una formazione di B-17 (le famose Fortezze Volanti) seminarono il terrore tra le 11,45 e le 13,43 sganciando l’impressionante numero di 1.500 ordigni, e l’ultimo, quello del 3 marzo 1945 che fu anche l’unico bombardamento notturno, con il cielo che si era illuminato a giorno.
L’incubo dei segnali d’allarme aereo
Dunque, dopo l’avanzata degli alleati in Italia, Pola conobbe l’incubo dei segnali d’allarme aereo. Era questo un fenomeno relativamente nuovo o per lo meno raro: nel corso della Prima guerra mondiale Pola in quanto base navale austriaca aveva sì subito una ventina di attacchi aerei italiani (anche con dirigibili, uno dei quali, il Città di Iesi, era caduto in mare poco lontano dalla città), ma questi non avevano provocato vittime o danni eccessivi.
Nel corso della Seconda guerra mondiale, prima della capitolazione dell’Italia, l’allarme aveva suonato per non più di 25 volte: dopo l’8 settembre del 1943 fino alla fine della guerra avrebbe fatto raggelare il sangue dei Polesi in ben 300 occasioni.
Nei mesi che precedetteo il primo bombardamento del 9 gennaio 1944, l’allarme era scattato 17 volte e i polesi si erano in qualche modo abituati, illudendosi che gli aerei avrebbero sorvolato sempre la città, per andare a scaricare il loro carico di distruzione e morte su altri luoghi.
I disagi erano altri: il dover interrompere tutto quello che si stava facendo per correre nei rifugi. A volte l’allarme suonava anche all’ora di pranzo e, considerata la carestia dell’epoca, alcuni portavano in rifugio anche due cassioi di risi e bisi, in gavette (gamele) o in piatti di alluminio. Volendo fare in fretta, la corsa a volte provocava anche la fuoriuscita del pasto, con i risi e bisi e i brodi che finivano per cadere in terra.
Pola era soltanto una meta alternativa
Il primo bombardamento di Pola nel corso della seconda guerra mondiale, quello del 9 gennaio 1944, fu anche il più devastante. Quella domenica di sole, 109 aerei B-17 Flying Fortress (fortezze volanti) del 15-esimo Air Force Bombardement Group, 120 del secondo, 27 bombardieri del 97-esimo, 28 del 99-esimo e 27 del 310-esimo gruppo di bombardamento alleato, dalle loro basi di Amendola e Cerignola in Puglia e Tortorella in Campania, decollarono alla volta di Fiume, obiettivo principale che venne abbandonato cause le nubi sopra il capoluogo quarnerino.
Per quella missione Pola era dunque soltanto una meta alternativa, ma venne comunque bombardata a tappeto. Le tre ondate di sganci che avvennero tra le ore 11,17 e le 11,45 provocarono 77 morti (ma in base a stime più precise dovrebbero aver perso la vita oltre cento persone), distrussero o danneggiarono gravemente o lievemente ben 647 edifici, provocarono l’affondamento del sommergibile tedesco U-81.
Tra le vittime, tra i quali figurano pure15 militari tedesci e 2 italiani, anche il sacredote Graziano Zanin, il calciatore Aldo Fabbro che giocava per il Napoli e Simone Mocenni, padre dell noto pittore e scultore polese che vive a Milano Gualtiero Mocenni. Uno dei suo tre figli porta il nome di Simone.
I funerali delle vittime si svolsero il 14 gennaio al Cimitero degli Eroi (prima, e oggi di nuovo, Cimitero della Marina).
Sparite la scuola Manzoni e il Vicolo della Bissa
I quartieri più colpiti furono il centro cittadino Giardini inclusi (demolito il palazzo della Telve, poi ricostruto, oggi vi si trova la “chipoteka”, al lato della farmacia centrale), Monte Zaro, Monte Cappelletta e Monte Paradiso, ma specialmente il rione di San Policarpo e quello delle Baracche (entrambi vicini agli impianti portuali, industriali e militari) dove fu colpita in pieno l’allora nuova scuola Alesandro Manzoni, e la zona della attuale parco Città di Graz: all’epoca l’area era occupata da case che vennero totalmente distrutte. Con esse sparì per sempre anche il Vicolo della Bissa che era stato a lungo una delle vie caratteristiche del centro di Pola.
Ligio Zanini, Martin Muma e le bombe
C’è anche una preziosa testimoninaza letteraria relativa al bombardamento del 9 gennaio, quella del poeta rovignese Ligio Zanini che all’epoca si trovava a Pola, nel suo libro Martin Muma. Eligio (Ligio) Zanini (1927-1993), considerato dalla critica italiana, con la dignanese Loredana Bogliun, uno dei poeti dialettali italiani dell’Istria che meritano di essere inclusi nelle antologie della poesia dialettale italiana tout court, è stato anche uno dei primi autori dell’ex Jugoslavia a scrivere pubblicamente dell’orrore vissuto nel lager dell’Isola Calva (Goli otok).
Lo fece proprio nella seconda parte del Martin Muma, la cui prima parte, sempre autobiografica, narra delle sue esprienze di vita a Pola, dove si era trasferito da Rovigno dopo che il padre, un mastro che fabbricava carri, battane, remi e alberi di goletta, fu costretto a chiudere bottega per trovare lavoro nella città dell’arena.
Il piccolo Zanini lasciava alle spalle il proprio bel dialetto, gli amici, la spiaggia della Cugulera del centro storico di Rovigno per presentarsi alla scuola San Martino (oggi Tone Peruško) con i pantaloni alla knickerbocker che i Polesani chiamavano nicher pocher.
Martin Muma, personaggio dei fumetti ideato da Pier Lorenzo De Vita sul “Corriere dei piccoli” nel 1942, è la figura simbolica di un’aspirazione a vivere la vita con l’avventurosa “leggerezza” infantile di una piuma, nella quale si specchia l’ infanzia di Zanini.
I crostoli per San Giuliano
Una leggerezza interrottasi proprio con il primo bombardamento di Pola del 9 gennaio, festa di San Giuliano, patrono dei vigili del fuoco e, a livello locale, dei seregoti, i passeri di Valle.
Nel capitolo intitolato “I crostoli per San Giuliano” narra della sua visita a casa dell’amico Renato Barbieri la cui madre, siora Giuliana, quella domenica aveva fritto dei crostoli.
La bella mattinata venne interrotta dal suono dell’allarme antiareo che mise in agitazione il padre di Renato. Tuttavia, siccome di allarmi ce n’erano già stati molti, ma bombardamenti mai, siora Giuliana aveva sdrammatizzato dicendo al marito “magna, bevi e tasi, che se gavemo de morir, morirermo almeno con la pansa piena”.
Tuttavia, scrive Zanini, “gli urli delle sirene gridavano prepotentemente che quello non era piu tempo di far festa”. Infatti, iniziarono a venir giù le prime bombe: “alla Madonna del Mare cominciarono gli spari della contraerea e, poco dopo, una pioggia di schegge scrosciava qua e là per l’asfalto”.
Martin Muma (cioè lo stesso Zanini) si mise a correre per recarsi a casa dei suoi genitori ma “in un istante il sole per S. Giuliano venne oscurato dall’immensa lamiera d’acciaio, slittante sul lastrone vitreo del cielo”. Vide per l’ultima volta la scuola Manzoni che aveva frequentato alle medie: “sul cumulo di macerie, dove c’era stata la bella scuola Manzoni, videro un uomo che stava scavando con disperazione. Era Papadopoli, il bidello, che cercva sua moglie. La trovarono morta, dopo tanto scavare, a fianco dello “sparhed” (o spacher, ndr), come una povera ragazza nel sonno.
Martino assistette anche alla morte della bidella nota con il nomignolo di Cogometta: “vide lo scialle nero della vecchietta sfilacciarsi davanti a lui in un turbine di fuoco e poi il buio e il silenzio”.
L’esplosione gli aveva fatto perdere i sensi e “fu risvegliato da un’aria puzzolente che gli strigeva la gola. Un paletto di ferro, di quelli che recintavano il giardinetto, s’era infisso nel terreno all’ingiù lasciando vedere il suo zoccolo di cemento a ghiaia e, come un grande chiodo, aveva trapassato il trench bianco di maco, quello delle feste, apertosi nella caduta. Tirando e rigirandosi, il ragazzo riuscì finalmente a uscire dal soprabito, come una cicala dalla propria larva.”
Rialzandosi, Martino volle raggiungere il vialetto che dal sagrato della chiesa conduce alla scalinata della chiesa della Marina per trovare riparo nel vicino rifugio scavato nella roccia, “ma dopo pochi passi sentì mancargli il terreno sotto i piedi e precipitò”.
Riuscì a rialzarsi, scendere i gradini e, prima di raggiungere il rifugio, gettandosi per terra si mise in salvo dalla bomba caduta nei pressi. Quella scalinata, che decenni prima era stata percorsa anche dall’imperatore Francesco Giuseppe, fu danneggiata e versa ancora oggi in uno stato pietoso.
Silvio Forza
Fonte: Istra24 – 09/01/2023