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Il Risorgimento istriano (Voce della Famia Ruvignisa lug-ago)

Il movimento risorgimenta­le italiano è stato molto studiato e dibattuto ed ancora oggi torna spesso alla ribalta non solo tra gli storici. Resta invece trascurato dalla storiografia e sconosciuto all'opinione pubblica il contribu­to dato al movimento risorgi­mentale dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia; in queste regio­ni si sviluppò un movimento patriottico inizialmente limitato e periferico, in seguito sempre più vivace e considerevole, fino a divenire il trampolino di lan­cio dell'Irredentismo. Anche a livello locale, del resto, l'odierna attenzione si è spostata sui dram­matici fatti del secondo dopo­guerra, che hanno portato al­l'esodo della popolazione italia­na ed allo sconvolgimento della struttura sociale della regione, mentre è stato trascurato lo stu­dio del periodo precedente la pri­ma guerra mondiale.

Per meglio capire il Risorgi­mento istriano, bisogna partire dall'analisi del contesto storico- politico a partire dal 1815, ov­vero dalla cosiddetta Restaura­zione, che pose fine alla grande ondata rivoluzionaria propaga­tasi dalla Francia a tutta Euro­pa. Nel 1813 si concluse anche una fase di conflitti tra Francia e Austria, che dopo alterne vicen­de vide prevalere quest'ultima; conflitti che opposero simboli­camente lo stato figlio della ri­voluzione e portatore di nuovi ideali alla compagine che meglio rappresentava il conservatori­smo e la tradizione assolutista.

Per l'Istria si trattò di un pe­riodo cruciale, oltre che trava­gliato: nel 1797 la caduta della Repubblica di Venezia aveva rap­presentato un vero e proprio trauma per molte cittadine, non solo costiere, dopo oltre quattro secoli di dominazione diretta, preceduta da altri periodi di in­tensi legami sociali, culturali e commerciali. Dopo quell'anno la regione conobbe vari passaggi di potere tra Francia ed Austria, attraverso il Regno d'Italia e le Province Illiriche di Napoleone, fino ad arrivare alla lunga domi­nazione austriaca, iniziata dal­l'ultima sconfitta napoleonica del 1813. Buona parte della popola­zione, pur serbando un ottimo ricordo della Serenissima, visse inizialmente l'annessione all'Au­stria come un ritorno alla stabi­lità dopo guerre, carestie e pas­saggi di potere. Oltretutto i Fran­cesi, nonostante alcune misure positive nel campo dell'istruzio­ne ed alcune importanti opere stradali, si erano resi odiosi per la forte politica anticlericale, che portò alla soppressione di chiese ed ordini religiosi.

L'Istria del primo '800 era una regione oltremodo arretrata, so­prattutto nelle zone rurali, dove l'agricoltura era povera ed il suo sfruttamento era prerogativa dei grandi proprietari; ovunque le vie di comunicazione erano scar­se e precarie, mentre le cittadine costiere vissero un periodo di crisi innescata dalla nuova situa­zione politica ed in seguito ac­centuata dall'introduzione della navigazione a vapore, con la fuga verso Trieste dei più importanti armatori e la pesante concorren­za commerciale del porto fran­co triestino.

Anche il clima politico, come la situazione sociale, era poco favorevole allo sviluppo di mo­vimenti patriottici, consideran­do che l'Austria, sotto la guida di Metternich, viveva il suo pe­riodo di più forte assolutismo, caratterizzato da una censura molto rigida, e da uno stretto controllo di ogni attività pubbli­ca e privata. La coscienza nazio­nale era quindi ancora in fase embrionale, la politica non era ancora diffusa negli strati più umili e non esistevano ancora i partiti di massa. In più l'Italia­nità era ancora qualcosa di piut­tosto astratto, non si vedeva an­cora la possibilità di una nazio­ne che unisse la secolare fram­mentarietà di molti piccoli stati. Essere Italiani era un concetto culturale e geografico, ancora anazionale, ma i grandi talenti della letteratura e dell'arte espressi lungo i secoli dalle genti della penisola italiana già affasci­navano gli istriani più dotti, fa­cendone risultare un primo sen­so di appartenenza. Ma era so­prattutto un elemento storico che più di tutti in Istria faceva precocemente guardare con fa­vore all'altra sponda dell'Adria­tico: il ricordo della dominazio­ne veneta, che aveva lasciato se­gni notevolissimi nella parlata dialettale, nei cognomi, nell'ar­chitettura e nell'arte; una miria­de di leoni cosparsi in buona par­te della penisola sembravano posti a monito e a guardia di una civiltà superiore ma soprattutto amica, che tra l'altro aveva te­nuta immune la sua parte d'Istria dal sistema feudale

Nonostante la situazione de­scritta già si intravedeva, seppur a livello minoritario, qualche caso di vivacità culturale ed in particolare una crescente atten­zione ai fatti ed alle situazioni della penisola italiana. Già alla fine del '700 fu proprio un istria­no a segnalarsi come antesigna­no dei movimenti nazionali ita­liani, oltre che personaggio di spicco nelle lettere e nelle scien­ze: il capodistriano Gian Rinal­do Carli, autore dell'articolo "Della patria degli Italiani", com­parso nel 1765 sul giornale mi­lanese "Il Caffé". Fu uno dei pri­mi scritti impregnati di orgoglio nazionale, che enunciava abba­stanza esplicitamente la speran­za in una futura unità dei popoli italici, come si intuisce dalla fra­se ad effetto conclusiva: "Diven­ghiamo finalmente Italiani per non cessar d'esser uomini".

Tra i primi sintomi di atten­zione ai fatti italiani si può segna­lare l'ondata rivoluzionaria del 1820-21, che riscosse un certo interesse tra gli Italiani del­l'Adriatico orientale; a testimo­nianza di ciò basta citare Pasquale Besenghi degli Ughi, considera­to il più grande poeta istriano, nato e cresciuto a Isola d'Istria, che si recò a Napoli per cercare di prender parte alla rivolta del `21.

Indubbiamente si trattava ancora di episodi isolati e di por­tata limitata, ma destinati ad au­mentare di intensità e di fre­quenza. Nel 1836 vide la luce il primo periodico culturale che si segnalava anche per qualche ac­cenno di spirito patriottico: "La Favilla". Il giornale fu fondato a Trieste, nella città considerata "fedelissima" dall'Austria, dove la censura era più blanda e dove all'epoca si era formata una pic­cola cerchia di intellettuali attor­no a Domenico Rossetti. La ri­vista letteraria fu però fondata e condotta da Antonio Madoniz­za, destinato a divenire, come vedremo, il personaggio trainan­te del Risorgimento istriano, in­discusso protagonista del movi­mento patriottico degli Italiani d'Istria. La pubblicazione, alla quale collaborarono anche il tri­estino Orlandini, i friulani Dal­l'Ongaro, Valussi e Somma, il dalmata Tommaseo e gli istriani Michele Fachinetti e Carlo Combi, chiuse i battenti per al­cuni problemi con le autorità, ma anche per lo scarso seguito avuto nell'ambiente culturale triestino. In effetti in quegli anni e fino alla seconda metà dell'800 si evidenziò una forte differenza tra Trieste e l'Istria; la prima grande emporio austriaco, dove il sentimento d'italianità era prettamente culturale, ma anco­ra poco sentito a livello politico; la seconda più sensibile a un nuovo orgoglio nazionale, anco­ra nostalgica della Repubblica di Venezia, in piena crisi economi­ca ed identitaria. Le autorità evi­dentemente si erano già accorte di tali peculiarità e vigilavano at­tentamente sull'ambiente cultu­rale istriano, basti pensare pro­prio a "La Favilla", cui inizial­mente fu più volte negata l'au­torizzazione alla stampa con la pretestuosa e goffa motivazione che dato il carattere eminente­mente commerciale di Trieste, una simile pubblicazione non aveva senso di esistere. Inoltre, il direttore di polizia nella sua relazione definì il Madonizza un "giovane di animo esaltato e fa­cilmente eccitabile", seppure non avesse mai avuto problemi con la giustizia.

Indubbiamente i moti del 1848, che sconvolsero buona parte d'Europa, costituirono per l'Istria un punto di svolta, una brusca accelerazione di quel pro­cesso di presa di coscienza nazio­nale che fino ad allora si era solo timidamente manifestato. Ri­spetto agli altri paesi interessati ai movimenti rivoluzionari, in uno stato multietnico come quello danubiano, la volontà di ribellione al potere assoluto e la protesta per le precarie condizio­ni di vita, si fusero con la richie­sta di emancipazione nazionale, soprattutto da parte degli Italia­ni, dei Cechi e degli Ungheresi, che diedero vita ad aspre rivolte e governi provvisori a Milano, Venezia, Praga, Budapest, anche se la sollevazione decisiva fu quella di Vienna. In Istria non scoppiò un vero e proprio moto di ribellione, e ciò anche per l'as­senza di un grosso centro urba­no che potesse convogliare il malcontento, concentrare mas­se di persone e quindi far esplo­dere la situazione in un vero e proprio tumulto. Basti pensare che all'epoca la cittadina più po­polosa era Rovigno, con i suoi circa 10.900 abitanti. Geografi­camente tale centro sarebbe po­tuto essere Trieste, ma come det­to i tempi non erano ancora maturi, la città giuliana era trop­po benestante ed impegnata nei commerci per covare desideri di rivolta. Dopo l'annuncio della concessione di una Costituzio­ne si diffuse in tutto l'impero un notevole fermento. Mentre a Tri­este Giovanni Orlandini tenta­va senza grande seguito di orga­nizzare una sollevazione, in vari centri istriani, anche piccoli, cre­sceva l'agitazione, in particolare a Buie, Pinguente, Pirano, Pisi­no e Rovigno. Mancò l'insurre­zione vera e propria, ma si pale­sarono molti episodi di entusia­smo popolare: la gente scese fe­stosamente per le strade, molti cittadini adottarono la coccarda tricolore, e lo stesso fecero numerosi marinai dislocati nel­la base di Pola in maggioran­za istriani e veneti. Ma l'ac­celerazione al movimento patriottico istriano fu impres­sa dalla notizia della procla­mazione della rinata Repub­blica di San Marco, da parte di Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, detenuti politici a Venezia, liberati dal carcere austriaco dai rivoltosi. Ne nacque un grande entusia­smo nell'Istria ex-veneta, provando inconfutabilmente il legame ancora saldo tra gli istriani e la "Regina del mare". Il 25 aprile, festa di San Marco ancor oggi molto sentita dagli istriani, erano temu­te delle manifestazioni violente, in particolare a Rovigno, dove correvano voci di un imminen­te innalzamento della bandiera della Serenissima in piazza Grande e dove aveva in quei giorni disertato, fuggendo verso Venezia, la motonave della ma­rina austriaca "Fulminante", con a bordo 45 marinai prevalente­mente rovignesi. Per tutto il pe­riodo di guerra, si registrò un considerevole esodo di giovani istriani, soprattutto da Rovigno, che nell'impossibilità di organiz­zare sollevazioni nella loro ter­ra, accorrevano a sostenere l'en­tità rivoluzionaria che sentivano idealmente più vicina: quella ve­neziana. Come più approfondi­tamente descritto nei numeri 140 e 141 de "La Voce", fu pro­prio Rovigno la località più tur­bolenta del '48 istriano.

Ma il 1848 e '49 furono an­che gli anni della prima guerra d'indipendenza, la prima irrive­rente sfida all'impero asburgico da parte del Piemonte, un pic­colo e giovane stato italiano, che cercò di approfittare del caos ge­nerato dai moti appena spentisi. La flotta austriaca e quella della lega italiana, composta da navigli napoletani, sardi e veneziani, si affrontarono al largo di Salvore, ma l'ammiraglio Albini, co­mandante della flotta, perse il momento buono per l'attacco causa la calma di vento e si svol­se solo una limitata scaramuc­cia di fronte a Pirano. Nel frat­tempo i movimenti navali veni­vano osservati con agitazione e speranza dalla popolazione della costa occidentale istriana, dove la gente si assiepò sulla costa per salutare le navi ed espose qual­che tricolore.

Tutto questo segnò il defini­tivo punto di rottura tra l'am­biente patriottico istriano e le autorità asburgiche, cui non po­tevano sfuggire le manifeste sim­patie di molti per l'avventura bellica piemontese e per i ribelli veneziani. Il governo stanziò in­genti truppe su tutta la costa ed in particolare nel porto di Pola, mentre al largo di Rovigno una nave da guerra puntò i cannoni contro la città. Quel fatidico anno vide anche l'esordio della politica governativa del "divide et impera", che avrebbe avuto largo seguito nei decenni succes­sivi, cercando di contrapporre le popolazioni slovene e croate, ri­tenute più affidabili, a quelle italiane. Furono reclutate nell'Istria centrale delle milizie,comandate dal maresciallo Nugent e dal colonnello Lazaric, composte prevalentemente da Croati, spesso fomentati con sentimenti anti-italiani, pronti ad essere scagliati contro eventuali rivoltosi. Un esempio della propaganda antiitaliana diretta alle popolazioni slave fu un proclama in sloveno e croato diramato in Istria durante la guerra del 1848-49, che incitava a perseverare nella fedeltà all'impero ed a contrastare eventuali mire separatiste degli Italiani, affermando tra l'altro: "il litorale, prima che i Veneziani se ne impossessassero, era tutto slavo e Venezia lo aveva in parte italianizzato".

Al di là di spontanee manifestazioni popolari, il 1848 segnò anche l'esordio di una prima attività politica per molti istriani, che ebbero la possibilità di eleggere i propri rappresentanti all'assemblea costituente di Vienna. L'Imperatore infatti, alla stregua di altri sovrani europei, era stato indotto ad annunciare la concessione di una costituzione durante i moti quarantotteschi, dando l'illusione, che poi si rivelò effimera, di una svolta liberale dopo la lunga parentesi autoritaria metternichiana. Il 23 maggio si svolsero le elezioni per i rappresentanti da mandare a Vienna a partecipare all'assemblea costituente, incaricata di redigere il documento. L'Istria elesse quattro rappresentanti italiani di estrazione patriottica e liberale ed un croato: Antonio Madonizza, Carlo De Franceschi, Michele Fachinetti, Francesco Vidulich e Josip Vlach. Per capire lo spirito battagliero che animava la delegazione italiana basti riportare una dichiarazione del poeta di Visinada Michele Fachinetti: "dovere mio e degli altri deputati istriani è di dichia­rare non conoscere altra lingua che l'italiana, e se anche per stu­dio conoscessimo la tedesca non dovremmo per nessun caso mo­strarlo. Finché conserveremo la lingua e lo spirito di nazione, non ci mancherà l'ancora della spe­ranza e la redenzione, se anche tarda e postuma a noi, sarà pur certa". I deputati istriani si mi­sero in evidenza per un corag­gioso attivismo e riuscirono a strappare qualche concessione sull'uso della lingua italiana e nell'ambito scolastico. La costi­tuente fu sospesa per la seconda rivolta di Vienna e dopo la ricon­vocazione a Kremsier, nel mar­zo del '49 fu costretta ad emet­tere frettolosamente un docu­mento incompleto, che fu poi disatteso dal nuovo imperatore Francesco Giuseppe ed abroga­to nel 1851.

L'esperienza della costituente non aveva dato grandi risultati pratici, ma aveva messo in mo­stra la grande determinazione dei deputati istriani, cui aveva fatto da contraltare il comportamento più prudente e conformista di quelli triestini. Si stava intuendo che molti degli Italiani soggetti all'Austria erano ormai pronti a difendere la dignità della loro cul­tura, della loro storia e della loro lingua, anche a costo di sfidare le misure repressive da parte del go­verno. La loro azione era ancora legalitaria, ufficialmente volta a ottenere maggior autonomia am­ministrativa, concessioni econo­miche e diritti politici, ma in re­altà già celava un'inedita aspira­zione separatista, che mancando ancora uno stato italiano unita­rio, guardava soprattutto in dire­zione di Venezia.

La repressione non si fece at­tendere e si protrasse per tutto il decennio successivo, caratteriz­zato da un deciso ritorno al più rigido assolutismo. Anche in Istria si registrarono molti casi di ritorsione, processi e vendette anche per motivi molto banali; si diffuse ovunque un clima di sospetto in particolare verso gli Italiani. Furono ovviamente col­piti soprattutto i personaggi più in vista come Madonizza, che fu costantemente ostacolato nella carriera di avvocato, De France­schi, licenziato dal suo impiego al tribunale di Rovigno, la fami­glia Polesini di Montona, colpita da un processo, il piranese Vin­cenzo de Castro, licenziato dall'università di Padova; ci furono però anche processi per sempli­ci frasi di critica al governo, come accadde ad esempio ai par­roci di Sanvincenti Fachinetti e di Barbana Gambini.

Nonostante i controlli poli­zieschi gli istriani continuarono a guardare con sempre maggior interesse agli avvenimenti della penisola italiana ed ovviamente non rimasero indifferenti al nuo­vo evento bellico che si presentò nel 1859: la II guerra di indipen­denza. Il 29 aprile l'Austria si tro­vò nuovamente in conflitto contro il Piemonte e la Francia sua alleata. Già dal 2 maggio pertanto in Istria venne di nuovo procla­mato lo stato d'assedio ed il go­verno cercò contemporanea­mente di ostentare una solidarie­tà pubblica che in realtà scarseg­giava nelle terre abitate in pre­valenza da Italiani. Per capire il punto di vista delle autorità ri­spetto alle varie etnie, risulta uti­le citare una comunicazione del barone Grimschitz, responsabi­le del circolo di Pisino, secondo il quale gli eventi bellici avevano causato vasto scontento nella popolazione dell'Istria; aggiunse però che mentre la popolazione slava istriana poteva ritenersi af­fidabile e devota all'impero, non era invece il caso di fidarsi degli Italiani, che seppure con discre­zione, guardavano con simpatia alle gesta dello stato sabaudo e ciò poteva preludere a velleità separatiste. Anche nel '59 furo­no numerosi, rispetto al prece­dente conflitto, i giovani istria­ni di sentimenti italiani che rup­pero gli indugi, abbandonarono la prudenza ed espatriarono per arruolarsi nelle file dell'esercito sabaudo, affrontando enormi ri­schi, in quanto disertori e tradi­tori dello stato austriaco. Su tutti si distinse il capodistriano Alfre­do Cadolino, deciso a contribu­ire al riscatto dell'Italia e alla li­bertà della sua terra, si arruolò ventitreenne nel corpo dei ber­saglieri e trovò la morte vicino a Solferino, teatro della sconfitta austriaca, meritandosi una me­daglia d'argento. Da notare che dal ginnasio di Capodistria, che in seguito prese il nome di Car­lo Combi, fuggirono per arruo­larsi un gruppo di studenti ed un professore. Da quell'episodio la scuola capodistriana fu conside­rata, a ragione, un focolaio di patriottismo italiano potenzial­mente sovversivo.

La seconda guerra d’Independenza denza fu abbastanza rapida e l'esi­to positivo fu un momento di for­tissima ascesa per il nascituro sta­to italiano ed in particolare per il suo abile stratega: Camillo Ben- so conte di Cavour. Dopo la vit­toria e l'annessione della Lombar­dia, il primo ministro italiano non includeva ufficialmente Trentino, Trieste, Istria, Friuli e Dalmazia nelle rivendicazioni territoriali sa­baude, ma incaricava suoi emis­sari di osservare e studiare tali re­gioni, dal punto di vista geografi­co e strategico, ma anche cultu­rale e sociale. Uno di questi emis­sari era Ercole Rezza, libraio ed editore genovese giunto a Fiume prima del '48 e già a quell'epoca iscritto nelle liste dei sospetti di infedeltà all'impero, in seguito arrestato e processato in quanto promotore de "La Gazzetta di Fiu­me". I legami tra gli Italiani delle due sponde dell'Adriatico andava­no dunque intensificandosi ed un ruolo importante in tal senso fu quello della cosiddetta emigrazio­ne politica. Anche dall'Istria un gruppo di patrioti di buona cul­tura, scelse la via dell'esilio in ter­ra piemontese e lombarda, per poter sensibilizzare gli Italiani, ma soprattutto i loro governanti in merito all'italianità delle loro ter­re. Tra le figure più notevoli del­l'emigrazione giuliana vanno ci­tati Pacifico Valussi e Antonio Coiz, friulani ma istriani di ado­zione, ma primo tra tutti Torna- so Luciani, podestà di Albona fino al 1861. Un altro protagonista dell'attivismo istriano fu Carlo Combi, professore anche lui di Capodistria, fondatore del gior­nale "La Porta orientale", che mirava a far conoscere la storia e le tradizioni latine della sua terra agli Italiani. Combi condusse an­che, il "Comitato Segreto per Tri­este e l'Istria", organizzazione clandestina che teneva i contatti tra i fuoriusciti e chi era rimasto in Istria. Entrò ben presto nel mirino della polizia, tanto che nel '59 gli fu tolta la cattedra al liceo ca­podistriano ed il suo giornale fu soppresso. Allo scoppio della ter­za guerra d'indipendenza del 1866 dovette recarsi in esilio a Venezia, dove visse sino alla mor­te, avvenuta nel 1884.

Dopo la sconfitta bellica del 1859 e dopo un decennio di au­toritarismo succeduto ai moti del 1848, i governanti di Vienna si decisero infatti ad una svolta ri­formista, che puntava sul decen­tramento e su un primo allarga­mento della base elettorale. Il di­ploma di ottobre del 1860 e la patente di febbraio del 1861 in­trodussero un nuovo parlamen­to bicamerale preposto a legife­rare in merito a questioni di in­teresse generale, mentre si dele­gavano alle 17 neo-costituite die­te provinciali molti importanti affari locali, quali l'istruzione, l'organizzazione territoriale dei comuni, i finanziamenti ad as­sociazioni, le opere pubbliche, nonché, fino al 1873, l'elezione dei deputati che avrebbero rap­presentato la realtà locale nel suddetto parlamento, che aveva sede a Vienna.

Come sede della dieta istria­na fu sorprendentemente scelta la cittadina di Parenzo, che allo­ra contava meno di 3.000 abitan­ti, scelta che probabilmente ten­deva a tener lontano il nuovo or­gano dai più popolosi e vivaci centri di italianità come Rovigno e Capodistria. Le elezioni di mar­zo portarono alla rappresentan­za 21 esponenti del partito libe­rale italiano su 30, di cui ben cin­que erano rovignesi: Andrea Amoroso, Antonio Barsan, Lui­gi Barsan, Giuseppe Basilisco e Matteo Campitelli; presidente era il parentino Gian Paolo Pol­sini. La dieta fu inaugurata il 6 aprile 1961 ed il 10 aprile avven­ne la storica seduta passata alla storia come "dieta del nessuno".

Nella votazione che avrebbe do­vuto eleggere i rappresentanti istriani da mandare al parlamen­to, per due volte 20 schede su 30 recarono la parola "nessuno", simbolico rifiuto che era un atto di protesta economica e sociale, ma agli occhi più attenti poteva sottintendere il mancato ricono­scimento della sovranità austria­ca. Anche in questa occasione la vera guida carismatica all'inter­no dell'assemblea, che ancora una volta si espose in prima per­sona, fu Antonio Madonizza, af­fiancato dal presidente Giampa­olo Polesini, da Carlo De Fran­ceschi ed altri nomi ricorrenti nei circoli patriottici. Ovviamente la dieta fu sciolta e nella nuova ele­zione furono eletti solo 2 dei 20 protagonisti del "nessuno". Questa clamorosa azione asten­sionista non fu spontanea, ma un atto simbolico ben organiz­zato e coordinato tra varie diete a maggioranza italiana in Tren­tino, Veneto, a Zara ed a Fiume. Non a caso la "dieta del nessu­no" si svolse neanche un mese dopo la proclamazione del Re­gno d'Italia, che fu una vera svolta nella storia del patriottismo giuliano. Da quel momento in poi gli Italiani d'Istria non si identificavano più solo nella lin­gua e nella cultura comune agli stati italiani, ma potevano ormai vedere una vera e propria nazio­ne italiana che rappresentava i loro sentimenti ed incarnava le loro speranze di libertà. L'Italia non era più solo un'entità geo­grafica, non più solo un concet­to culturale. Da quel periodo ed ancor più dopo la III guerra d'in­dipendenza del 1866, che dopo la Lombardia assegnò all'Italia anche il Veneto, il movimento patriottico che mirava con più decisione al distacco dalla com­pagine asburgica prese il nome di Irredentismo.

Gabriele Bosazzi

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