Se gli anni in cui si chiamavano i carabinieri in occasione di iniziative sul Confine orientale sono questione passata, e sono sempre meno gli incontri, i dibattiti o le manifestazioni caratterizzate dall’intervento di un qualche provocatore che apre col consueto ritornello di sprezzante scherno “Eravate dei fascisti e ve lo siete meritato”, purtroppo capita ancora che targhe o monumenti ai Caduti delle Foibe vengano danneggiati o imbrattati. Negli ultimi anni il dibattito sul Giorno del Ricordo si è spostato sul valore della ricorrenza, e sul perché abbia senso che essa prosegua a far parte del calendario ufficiale della Repubblica italiana.
Nel ricordo della comunità giuliano-dalmate
Prima di tutto serve a noi, comunità di giuliano-dalmati di seconda e oramai terza generazione, nati in Italia (ma non solo, anche in America come, ad esempio, Joe Bastianich) da genitori che vissero l`esodo in prima persona. Anche nel caso solitamente raro, che i nostri nonni e genitori ce ne abbiano parlato in maniera completa senza omettere nessun doloroso dettaglio, è un dato di fatto che questo sia avvenuto con più leggera consapevolezza (non serenità) dopo il 2004.
Senza tralasciare i molti casi di coloro che non sono mai voluti tornare a rivedere la propria terra d’origine anche dopo la dissoluzione della Yugoslavia. Prima dell`istituzione della data del 10 febbraio “i nostri vecchi” ci avevano raccontato poco, e in maniera frammentaria, non raramente eludendo i passaggi più dolorosi, solo perché l`operazione di rimozione era servita prima di tutto a loro per “andare avanti”, e ricostruirsi una vita in nuovi spazi e con nuovi ricordi. Alle nuove generazioni si voleva presentare una versione di se stessi rigenerata dai ricordi di angoscia e dolore, per offrire a figli e nipoti l’opportunità` di diventare cittadini italiani senza il peso dei traumi vissuti.
Perchè il Giorno del Ricordo
Il Giorno del Ricordo è servito a tutta la comunità giuliano-dalmata per ritrovarsi, tentando di superare i reciproci rancori che per diverso tempo hanno caratterizzato i rapporti tra “esuli” e “rimasti”, persino a livello familiare. I social media hanno permesso a molti di ritrovarsi, discutere magari anche animatamente ma anche molto più` semplicemente, grazie a certi gruppi Facebook, di recuperare qualche vecchia ricetta delle nostre nonne, in una dimensione di comunità virtuale che non raramente spinge alla curiosità di vedersi e rincontrarsi di persona.
Ha dato modo di proseguire a ricostruire un patrimonio culturale di italianità adriatica plurisecolare antecedente al ventennio in cui Istria, Fiume e Dalmazia fecero parte dei territori del Regno, ridando senso e ragione a quel sentirsi “cittadini italiani” al quale si è arrivati attraverso esperienze dolorose, che nulla dovevano avere di inevitabile come quella dei campi profughi, oltre che delle foibe.
Giulio Smareglia e il suo illustre antenato
Scopro da poco che il professor Giulio Smareglia, nipote del compositore Antonio Smareglia, ha vissuto a Mestre fino al 1990, dopo una vita di insegnamento in un istituto tecnico superiore. Proprietario a Pola di una libreria divenuta punto di ritrovo di un gruppo di oppositori al nazifascismo – attività` che gli costò l`internamento a Buchenwald – quando l`esodo da Pola inizia, decide di restare ottimista nei confronti della “nuova” Yugoslavia titoista. È il 1947 quando un commissario politico irrompe in classe nella scuola superiore dove Smareglia sta facendo lezione su Dante, e gli intima di smettere.
Nel giro di pochi giorni la famiglia del professore verrà prelevata dall`OZNA proprio mentre si accinge all’esodo, e Smareglia viene internato nel carcere di Fiume. Smareglia ha vissuto appartato senza quasi alcun contatto con la comunità esule locale nel timore di divenire oggetto di diffidenze e rancori, mentre invece l`istituzione del Giorno del Ricordo e la quantità sempre maggiore di iniziative tutte di ispirazione e orientamento differente, avrebbe potuto convincerlo a riavvicinarsi “ai suoi”.
L’importanza della storia nel ricordo
D`altro canto alla luce della disponibilità dimostrata dalla comunità giuliano-dalmata a discutere della proprio storia sofferta, non si può che sperare che il Giorno del Ricordo non debba finire per diventare qualcosa di simile ad “una tacca nel curriculum” per chi sia alla ricerca di quei “15 minuti di notorietà”, tramite operazioni editoriali furbe o simili iniziative. Trattandosi di una ricorrenza tutta italiana di impatto certamente inferiore rispetto ad altre di caratura internazionale, essa resta egualmente complessa, una fase della storia nazionale da comprendere con la stessa attenzione e serietà con cui nell`ultimo anno abbiano cercato di capire la storia dei conflitti e dei rifugiati di guerra di ogni Paese.
Consigliere del Comitato provinciale di Venezia dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia