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Il sogno di una Trieste slovena (Il Piccolo 26 gen)

di MARINA ROSSI Jože Pirjevec, già docente di Storia dei Paesi Slavi alla facoltà di Lettere dell’Università di Trieste, attualmente professore a Studi umanistici dell’Università del Litorale, nonché ricercatore al Centro di Ricerche Scientifiche dello stesso Ateneo di Capodistria, nel nuovo, corposo volume di cui è autore «Trst je naš! Boj slovencev za morje (1848-1954) (Trieste è nostra! La lotta degli sloveni per ottenere uno sbocco al mare)» (edito da Nova revija, Lubiana, con note critiche di Gorazd Bajc), analizza il significato e il valore che Trieste ha assunto nella storia degli sloveni dalla nascita di quel popolo come nazione al Memorandum di Londra e al conseguente ritorno della nostra città all’Italia.

Per gran parte dei triestini, il tema si riferisce al contenzioso politico e territoriale sulla questione di Trieste, tra l’Italia e la Jugoslavia di Tito. Il pregio di quest’opera è invece quello di far comprendere come l’ambizione di rendere Trieste una città slovena riguardi la componente politica slovena liberalnazionale antitetica e contemporanea alla nascita ed allo sviluppo dell’irredentismo italiano.

Il libro viene presentato domani, alle 17.45, nella Sala Alessi del Circolo della Stampa di Trieste, in corso Italia 13.

Autore di numerosi saggi e monografie di storia politica e diplomatica riguardanti il Risorgimento, la Russia, l’area balcanica fino alle guerre jugoslave degli anni 1991-1999, Pirjevec ha espresso, tuttavia, un costante interesse per la storia della città in cui vive dal 1947. Nel 1998 ha pubblicato, con Milica Karin Wohinz un saggio sugli sloveni in Italia dal 1866 al 2000. L’ampia messe di dati reperiti allora sulla questione di Trieste vista dagli sloveni costituisce il terreno fertile su cui si è articolata l’ampia ricerca raccolta nell’opera in questione.

Fonti inedite provenienti da archivi britannici, americani, russi, vaticani, sloveni e una vasta letteratura plurilingue, evidenziano gli sforzi effettuati dalle diverse correnti poleitico-culturali slovene per raggiungere uno sbocco sul mare. Un sogno, rappresentato per più di cent’anni da Trieste.

«Ma la storia di questa città non può essere compresa fino in fondo – osserva Jože Pirjevec – ignorando la lotta di un popolo mitteleuropeo che nell’atto di proporsi come soggetto politico avverte la necessità di una sua dimensione mediterranea».

«Il 1848/49 fu un biennio fertile di eventi e idee – scrive Pirjevec -, destinato a condizionare nei decenni successivi l’Austria imperiale fino al suo sfacelo. In quel periodo, in cui sorsero speranze di evoluzione politica e culturale va collocato un primo progetto politico sloveno, formulato da alcuni intellettuali. Essi cominciarono a vagheggiare un’entità autonoma nell’ambito di una federazione sotto lo scettro degli Asburgo. Ne nacque un manifesto, a suo modo rivoluzionario, indirizzato all’imperatore Ferdinando I. Rivoluzionario, perché voleva una Slovenia unita, senza far ricorso, nel sostenerne la legittimità, al diritto storico, ma solo a quello naturale – una novità assoluta a livello europeo. E anche perché la sua realizzazione avrebbe cancellato le vecchie regioni in cui gli sloveni vivevano accanto ai tedeschi, agli italiani e agli ungheresi (Stiria, Carinzia, il Goriziano, l’Istria, l’Oltremura)».

In tale contesto «rientrava anche il discorso su Trieste come sbocco marittimo della futura Slovenia. In un secondo momento, negli anni ’60, quando in Austria fu di nuovo possibile un dibattito politico, la questione fu riproposta. A Trieste si era già formata una borghesia slovena, abbastanza numerosa e consapevole di sé, che non tardò a scontrarsi con quella di lingua e cultura italiana. Quest’ultima guardava con simpatia all’Italia, che allora andava costituendosi in stato unitario: un’Italia progressista, antipapalina, moderna. La borghesia triestina di matrice cosmopolita ne era attratta, anche per l’influenza esercitata, nel suo seno, dall’elemento ebraico. Per molti ebrei triestini, soprattutto quelli di origine veneziana, l’Italia era infatti più seducente dell’Austria cattolica, in cui già cominciavano a manifestarsi tendenze antisemite, sconosciute allo Stato sabaudo liberale e massonico».

Due borghesie a confronto, dunque, «soprattutto nei decenni a cavallo del secolo che elaborarono progetti politici diversi per il futuro di Trieste. Quella irredentista auspicava che Trieste fosse inclusa nel Regno per diventare il trampolino di lancio dell’espansione italiana nei Balcani e nell’Adriatico. Quella slovena e così pure quella croata puntavano invece sulla futura Jugoslavia, di cui avrebbe dovuto far parte la Slovenia unita. Sempre, ovviamente, nell’ambito della monarchia asburgica, ristrutturata da duplice in triplice. Alla fine del secolo e agli inizi del ‘900 si profilò, inoltre, un terzo progetto, elaborato dai socialdemocratici italiani e sloveni, che volevano una Trieste autonoma, centro d’incontro economico, politico e culturale dei popoli che vi confluivano».

Nel 1918, quando queste terre furono occupate militarmente e annesse dall’Italia, «il popolo sloveno subì un colpo durissimo e non soltanto per la persecuzione cui fu soggetta la sua parte inglobata nella neo-costituita Venezia Giulia. Va fatta un'altra considerazione di cui mi son reso conto proprio scrivendo questo libro: con la perdita del Litorale è venuta meno la componente liberale e socialdemocratica della vita politica slovena. Nella Carniola, passata alla Jugoslavia, era da sempre forte la Chiesa cattolica, che si presentava come il baluardo della nazione: nel passato contro i tedeschi, nel periodo tra le due guerre contro la Serbia accentratrice ed ortodossa».

Negli anni ’20, ma ancor più negli anni ’30, «il Partito popolare, propaggine politica della Chiesa, assunse tratti sempre più integralisti, imponendo al moncone della Slovenia soggetto ai Karadjordjevic un aggressivo regime clericale. Durante la guerra i suoi esponenti videro la collaborazione con gli occupanti italiani e tedeschi come un male minore rispetto al Fronte di Liberazione, animato dai comunisti. La drammatica frattura, conosciuta dal popolo sloveno nel periodo bellico fra coloro che aderivano al Fronte e coloro che lo combattevano, può esser vista pertanto anche come conseguenza della perdita del Litorale. Nella vita della nazione è venuto a mancare l’apporto del pensiero liberale e socialdemocratico, espresso nei decenni precedenti la prima guerra mondiale dalla realtà triestina».

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