Notti in cui imperversava l’UDBA, la polizia politica della Jugoslavia comunista che aveva raccolto il testimone dell’OZNA, artefice dell’epurazione politica e delle stragi che avevano liquidato gli oppositori del progetto annessionista titino nella Venezia Giulia, a Fiume e a Zara. Opzioni per la cittadinanza italiana che venivano respinte dalle autorità jugoslave, rimaste sorprese dall’esodo di massa che aveva attraversato tutte le fasce sociali e politiche e che cercavano di frenare l’emorragia di maestranze e di professionisti.
Questo era il clima che si respirava in Istria dopo il 10 febbraio 1947, allorchè l’annessione alla Jugoslavia era ormai stata sancita dal diritto internazionale. E la situazione specifica di Valle, nell’entroterra rovignese, emerge nelle prime pagine del libro dell’esule Nevia Mitton Costretti all’esilio. Memorie di una bambina istriana (Mursia, Milano 2024). Presentato presso lo stand della Regione Piemonte al XXXVI Salone Internazionale del Libro nell’ambito delle iniziative promosse dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, questo libro autobiografico ha trovato ulteriore spazio negli eventi del Fuori Salone organizzati presso il Circolo Istriani, Fiumani e Dalmati con la collaborazione del Comitato ANVGD di Torino.
Introducendo la serata Antonio Vatta (Presidente ANVGD Torino), di nuovo emozionato nel vedere la sala conferenze piena di pubblico di tutte le età, ha ricordato le rocambolesche tappe dell’esodo della sua famiglia da Zara, giunta a Torino dopo essere passata per Fiume e poi Trieste (durante i quaranta giorni di occupazione titina) e quindi nei Campi Profughi di Padova e di Mantova. Alessandro Cuk (Vice presidente nazionale ANVGD) ha portato il saluto del Presidente nazionale Renzo Codarin e Vatta ha quindi chiesto a Nevia Mitton, la cui famiglia giunse a Torino dopo analoghe peripezie, come mai ha scelto il titolo “Costretti all’esilio”.
«In realtà io non sapevo come intitolare il mio libro – ha spiegato l’autrice – è stata una mia amica che leggendo il manoscritto mi ha detto “Voi siete stati davvero costretti ad andarvene!” e così ho trovato lo spunto che cercavo. La stesura non è stata semplice, mi è costato tante lacrime ed emozioni ricordare le tappe del nostro esilio, raccogliendo gli appunti che ogni anno preparo per i miei interventi come testimone in occasione del Giorno del Ricordo nelle scuole di Monopoli in Puglia, ove adesso risiedo. Dopo aver sentito le tesi di un negazionista delle foibe mi sono data da fare per concludere in fretta il mio libro»
Ed i primi capitoli del libro sono quindi dedicati ai ricordi di una bambina nata a Valle d’Istria e da subito avvolta nella sua sfera famigliare dalle spire del regime titoista. Uno zio idealista convinto che la Jugoslavia avrebbe realizzato gli ideali comunisti finisce in “campo di rieducazione” dopo la rottura tra Stalin e Tito, culminata con l’uscita della Jugoslavia dal Cominform, l’organizzazione di coordinamento dei partiti e dei regimi comunisti. Come lui tanti italiani, autoctoni o giunti nel “controesodo dei monfalconesi”, pagarono con una terribile detenzione la propria lealtà ideologica al comunismo internazionalista rappresentato dall’Unione Sovietica rispetto al nazionalcomunismo secondo cui Tito aveva organizzato la sua dittatura. Anche il padre di Nevia fu arrestato per aver cercato di aiutare il fratello e vivi nel testo sono i ricordi della bambina che va a trovarlo nel campo di detenzione.
Poi finalmente la liberazione dalla prigionia, l’accettazione delle opzioni per l’Italia e quindi gli anni nei Centri Raccolta Profughi ad Altamura prima e a Marina di Carrara in seguito, fino a giungere alla baraccopoli di Viale Polonia a Torino e finalmente un alloggio nelle case popolari alla periferia del capoluogo piemontese. Molto coinvolgente è stata quindi la lettura di alcuni brani del libro scritto in dialetto di Valle, una località in cui si parla l’istrioto, ben diverso dall’istroveneto che caratterizza la parlata italofona di gran parte della penisola istriana: «Che bel che xè sentir el nostro dialetto – ha commentato Vatta – Questa xè la nostra identità, se la semo portada drio e la gavemo trasmessa ai nostri fioi e nipoti»
Maria Elena Depetroni (Vicepresidente nazionale ANVGD) si è quindi complimentata con l’autrice per l’opera di testimonianza che ha svolto nelle scuole; presente nel pubblico anche Italia Giacca, componente dell’Esecutivo nazionale ANVGD.
Grande successo quindi per le due serate del Fuori Salone, mentre oggi si concludono le conferenze organizzate al Salone in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Lorenzo Salimbeni