di STEFANO PILOTTO
Il problema è lungi dall'esser chiuso. Il parere consultivo della Corte dell'Aia risponde negativamente all'interrogazione della Serbia sul carattere illegale della dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, ma non afferma che tale atto sia ufficialmente legittimo. È pur vero, infatti, che non esiste una norma internazionale che proibisca di effettuare dichiarazioni unilaterali di indipendenza, ma ciò non significa che quanto avvenuto il 17 febbraio 2008 a Pristina (la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo) sia opportuno, né che vi sia l'obbligo, da parte della comunità internazionale, di riconoscere tale indipendenza.
LA CONTESA Molti osservatori, oltre a Serbia e Russia, si aspettavano che il verdetto della Corte dell'Aia facesse luce sulla questione, dando un contributo effettivo alla soluzione del groviglio balcanico, ma ciò non è avvenuto, anzi. Il documento di ieri contiene la dose sufficiente di esplosivo giuridico per innescare una serie di atti unilaterali, suscettibili di incendiare la pace sociale di diversi Paesi europei e non. Il problema fondamentale, nella questione del Kosovo, è che il contrasto fra serbi e kosovaro-albanesi non si esaurisce con la contesa fra le due parti, bensì risulta viziato dal coinvolgimento di altre potenze, prima fra tutte gli Usa.
GLI USA La più grande base militare statunitense, quella di Camp Bondsteel, si trova in Kosovo, è stata creata dopo la crisi del 1999 (il bombardamento della Serbia da parte della Nato, che permise l'insediamento delle potenze straniere in Kosovo e Metohia) e rappresenta oggi la più solida base di influenza politica e militare americana nella regione balcanica. L'osservatore imparziale non può cadere nel sospetto che tale presenza militare americana possa aver, in qualche modo, esercitato una pressione morale sull'attività dei giudici dell'Aia, ma certuni ripensano alla famosa frase di Andreotti («A pensar male si fa peccato, ma tante volte ci si azzecca»). Il governo serbo, a ogni modo, ha già ribadito che Belgrado non riconoscerà mai l'indipendenza del Kosovo, di quella provincia serba, cioè, che da quasi dieci secoli rappresenta l'area centrale dello sviluppo della civiltà serba e della religione serbo-cristiano-ortodossa. Né la grande maggioranza dei Paesi del mondo, infatti, né gli intellettuali che hanno studiato il problema mettono in discussione la legittimità storica dell'appartenenza del Kosovo alla Serbia. A tutt'oggi, solo un terzo dei Paesi del mondo ha riconosciuto l'indipendenza del Kosovo e non si ritiene che tale numero cresca facilmente nel corso dei prossimi mesi, malgrado il parere espresso ieri all'Aia.
LA STORIA Il Kosovo e Metohia è la provincia delle chiese e dei monasteri, non ha un valore prioritariamente economico, ma ha un grande valore spirituale, collegato all'identità del popolo serbo. A volte si trascura l'importanza del problema, ma la prova che il caso del Kosovo presenta in questi anni alla comunità internazionale è considerevole: si tratta di una prova molto delicata. Da una parte vi è l'insistenza spesso artificiale di alcuni Paesi attratti dalle prospettive di espansione politica e legata a interessi specifici. Dall'altra vi è l'analisi storica associata all'evoluzione dei popoli, ai loro diritti, alle loro guerre, ai loro errori e ai loro ravvedimenti. Alcuni ritengono che la debolezza di chi asseconda gli interessi geopolitici della grandi potenze possa creare danni superiori a quelli generati da una tempestiva fermezza nel rispetto del principio della sovranità degli stati. Il mondo ha bisogno di ordine e di chiarezza per uscire dalla crisi, ha bisogno di regole condivise, ha bisogno di pace. Il travaglio della regione balcanica, purtroppo, continua.