Si è svolta giovedì 6 marzo, Giornata Internazionale dei Giusti dell’umanità, nata per commemorare coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi, la cerimonia di intitolazione di un salice a tre nuovi Giusti, Filberto Ambrosini, Antonio Santin e Beatrice Ronher presso il Giardino dei Giusti del Mondo nel quartiere padovano di Terranegra .
Il sindaco e presidente della Provincia di Padova, Sergio Giordani ha sottolineato: “Chi sono gli uomini e le donne che oggi chiamiamo Giusti del Mondo? Sono persone come noi, con vite e progetti normali che si ritrovano a vivere, per i casi del destino, momenti straordinari e drammatici e non si girano dall’altra parte. Sono donne e uomini che salvano vite nei genocidi, difendono la dignità umana nelle dittature, cercano di rompere le catene dell’odio. Non pensano alle possibili conseguenze per sé stessi, perché dentro di loro, c’è una voce, forte chiara che grida la necessità di fare qualcosa, di non rimanere indifferenti. Avere memoria di questi fatti e di queste persone non è un semplice atto di riconoscenza e omaggio, ma uno strumento di responsabilità per noi che agiamo adesso, perché fermiamo quei meccanismi di odio e disumanizzazione che anche in questi mesi vediamo con dolore riemergere in molte aree del mondo. Questo luogo, indicando le figure dei Giusti del nostro tempo, ci propone comportamenti etici da seguire e sfide complesse a cui siamo tutti chiamati. Dà un senso e una prospettiva anche al nostro futuro. Ci dice che senza dover compiere atti straordinari ognuno di noi nel proprio piccolo può aggiungere il suo tassello al mosaico che costruisce un futuro migliore per tutti”.
Giuliano Pisani, Vice Presidente del comitato scientifico e promotore del progetto ha spiegato: “Siamo qui per onorare e commemorare i giusti, coloro che hanno seguito la voce della coscienza, intuendo che questa era l’unica cosa giusta da fare. Hanno scelto di fare una cosa giusta. Gli altri erano forse ingiusti? Forse perché non riflettevano o avevano interessi privati non lo sapremo mai, perché rimarrà per sempre misteriosa la capacità di capire le pulsione della gente, di cosa determina una scelta o un’altra. Noi con questo luogo, vogliamo dare una casa ai Giusti del Mondo, perché qui ci sono Giusti davvero di ogni parte del mondo, dal Giappone agli Stati Uniti, dal Sud Africa alla Russia, ci sono i Giusti che si sono battuti e impegnati nelle realtà geografiche più lontane. Abbiamo più di 100 piante che li ricordano e ogni storia è così fantasiosamente ricca di strade percorse per arrivare alla salvezza. Per seguire il bene, queste persone varie volte si sono comportate come degli impostori, sono arrivate al bene, a salvare delle persone, attraverso la falsità. C’è quindi un senso ampio che ci porta di fronte al tema centrale, che è quello della responsabilità. Non possiamo tirarci indietro”.
La selezione dei Giusti è operata dal Comitato scientifico, presieduto dal Sindaco e composto da Giuliano Pisani (Vicepresidente operativo), Mariarosa Davi, Sara Ada Parenzo, Sandra Fabbro e Annalisa Oboe, che agisce in collaborazione e in collegamento con istituzioni, comitati e organizzazioni operanti sugli stessi temi in qualunque parte del mondo.
Fonte: Provincia di Padova – 06/03/2024
Dai profili biografici dei tre nuovi Giusti pubblichiamo la scheda redatta riguardo Mons. Antonio Santin e segnaliamo che anche la vicenda di Filiberto Ambrosini ha attinenza con Fiume e la storia del confine orientale.
ANTONIO SANTIN
Antonio Santin nacque a Rovigno d’Istria il 9 dicembre 1895, primogenito di 11 figli di famiglia modesta (padre marinaio e madre operaia). Già dopo le scuole elementari manifestò l’intenzione al sacerdozio, ma per difficoltà economiche entrò solo nel 1914 nel seminario teologico di Gorizia. Allo scoppio della guerra contro l’Austria, assieme agli altri chierici, fu trasferito in Slovenia. Nel monastero di Stična, il primo maggio 1918 fu ordinato sacerdote e assegnato alla diocesi di Parenzo (Pola). Celebrò la prima messa a Vienna dove la sua famiglia era stata deportata in esilio da Rovigno, dopo vari spostamenti per motivi politici e militari, come profughi istriani. Trasferito in un paesino dell’interno dell’Istria, dove cominciò ad imparare la lingua slava, fu poi destinato a Pola, incaricato dell’assistenza agli ammalati e bisognosi e dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Frequentò i corsi della Scuola Sociale Cattolica di Bergamo dove si laureò nel 1923 con una tesi sull’attività della Chiesa a favore degli schiavi nei tempi antichi, nel quadro dei suoi interessi per gli ultimi della società e, memore delle sue umili origini, frequentò le case dei più poveri per apportarvi conforto e sostegno materiale. Nel 1932 fu nominato vescovo di Fiume e dovette lasciare Pola dopo 15 anni di affezionato servizio di quella comunità. A Fiume trovò un ambiente multietnico più complesso, con lingue e religioni diverse ed ebbe modo di approfondire lo sloveno e il croato, che usò nella predicazione alle diverse popolazioni di fedeli, e nelle occasioni speciali quale il congresso eucaristico di Laurana, con relazioni e prediche in tre lingue. Fu attento e rispettoso delle diverse comunità religiose, in particolare della Comunità ebraica presente in città, alla quale concedette lo spazio verde dell’episcopio per la Festa annuale delle Capanne e con la quale mantenne sempre ottimi rapporti. Il 16 maggio 1938 fu nominato vescovo di Trieste e Capodistria e il 3 settembre si insediò a Trieste dove la comunità ebraica era fiorente e numerosa e dove, il 18 settembre, Mussolini arrivò in visita ufficiale e annunciò le leggi razziali. Monsignor Santin ebbe subito modo di dimostrare il suo carattere energico e coraggioso affrontando Mussolini sul sagrato di San Giusto, proprio sul tema delle persecuzioni di ebrei e slavi. Per gli slavi, in particolare, argomentava anche il pericolo che con quelle vessazioni si allontanassero dalla Chiesa e si avvicinassero al comunismo. Successivamente conferì con Mussolini a Palazzo Venezia a favore della comunità ebraica di Trieste, che a causa del pericolo dei rastrellamenti, gli affidò, perché lo custodisse, quanto aveva di più prezioso, e nella prima fase della guerra intervenne spesso presso le autorità a difesa della popolazione slava oggetto di internamento. Il 15 aprile 1943 firmò, assieme ad altri vescovi del Friuli Venezia Giulia, un memoriale a Mussolini. Prima e dopo l’8 settembre 1943 intervenne frequentemente a difesa di ebrei, antifascisti, italiani e slavi, diede ospitalità e ristoro ai soldati italiani sbandati e salvò una partigiana slava ricercata dai tedeschi intrattenendo anche contatti con il movimento di Liberazione e nascondendo quanti erano in pericolo. Nel 1944 si verificò una recrudescenza di rastrellamenti e deportazioni di ebrei e venne prelevata anche una scrittrice collaboratrice del vescovo. Monsignor Santin scrisse al generale delle SS e perfino ad Hitler, ma purtroppo la scrittrice triestina venne ugualmente deportata ad Auschwitz e lì morì dopo atroci sofferenze. Monsignor Santin intervenne in molti casi, presso le autorità germaniche, per salvare i cittadini incarcerati nella Risiera di San Sabba. Tra gli altri riuscì a salvare Giani Stuparich, con la madre e la moglie, rinchiusi nella Risiera di San Sabba a causa dei suoi contatti con la Resistenza. Il 1° maggio 1945 fu il vescovo a condurre la trattativa che portò alla resa della forza di occupazione tedesca. Lo stesso giorno una piccola formazione di partigiani di Tito entrò in città anticipando le truppe neozelandesi e occupò Trieste. Cominciarono subito i sequestri di persone e nei 40 giorni di occupazione comunista sparirono circa 5000 persone tra Trieste e Gorizia, gettate nelle foibe (Basovizza, Opicina) o in mare. Con l’accordo di Belgrado le truppe titine si ritirarono da Trieste, ma in Istria continuò la pulizia etnica verso gli italiani: nel 1946 aumentarono anche le persecuzioni religiose e molti sacerdoti furono malmenati e uccisi. Lo stesso Santin il 19 giugno 1947, recandosi a Capodistria per impartire la Cresima, nonostante fosse stato avvisato dell’agguato programmato nei suoi confronti, fedele al suo apostolato, fu aggredito, bastonato e sfregiato e dell’aggressione fu testimone anche il giovane seminarista Fulvio Tomizza. Nel 1947 la costituzione della zona A e della zona B causò l’inevitabile esodo dei 350mila italiani dall’Istria e dalla Dalmazia. Se prima aveva difeso e salvato ebrei e slavi perseguitati, ora Monsignor Santin difendeva gli italiani cacciati dalle loro terre, sentendosi esule tra gli esuli. Per il suo impegno pastorale, sociale e civile e per essersi coraggiosamente battuto contro persecuzioni, oppressioni e ingiustizie affrontando a turno nazisti tedeschi, comunisti jugoslavi, generali anglo-americani e funzionari governativi italiani, Monsignor Santin venne definito Defensor Civitatis. Riferisce mons. Capovilla a mons. Malnati, segretario del vescovo, che Papa Giovanni XXIII soleva dire che per quanto Monsignor Santin aveva fatto a favore degli ebrei perseguitati meritava di essere riconosciuto “Giusto tra le Nazioni”. Ed infatti, la mattina del 17 marzo 1981 in cui mons. Santin spirò, i primi che giunsero a rendergli omaggio furono proprio il Presidente e il Rabbino della comunità ebraica di Trieste.