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Illyricum sacrum (Voce del Popolo 19 set)

di Milan Rakovac 

Chi ancor’ se ricorda che i piu romantici Istriani, al’alba della rivolussion regional circa vent’anni fa, proponeva de formar una nova nassion istriana; dovevino diventar (de novo) tutti Histri?!

Intanto, digo mi, adesso che la mia bellissima patria (pardon, Patria – che, tra l’altro, sicome la Slovenia, la ga compra le famose autoblinde Patria de Finlandia, ma anche i camion italiani, per le armate nassionali, in due operazioni non tropo ciare…) ‘desso entra nell’UE ein-zwei-drei, l’Istria de novo pol diventar Istria-Regione-nell’UE-delle-Euro-Regioni? E come se pol far, senssa l’inno istrian?

Il titolo proposto potrebbe diventare il leitmotiv del mio inno istriano. Perché Illyricum? Il ragionamento è il seguente; visto che Ljudevit Gaj e il vescovo Strossmayer non sono riusciti a convincere gli Slavi del Sud a fondersi in una nazione sola chiamata ILLIRI, visto che questi stessi Slavi del Sud erano contrari al primo stato moderno donato loro da Napoleone – le Provincie illiriche –, forse (ribadisco, ho detto forse – perché mi sembra già di sentire la giusta rabbia nazionale dei Croati, degli Italiani e degli Sloveni!!!) possiamo far rivivere questo storico tentativo in Istria?

È palese che sto scherzando, ma scherzo solo fino ad un certo punto; gli Illiri (Histri) sono evidentemente insiti nei geni di tutti noi, e lo stato delle cose, la realtà multietnica e plurilingue ha in Istria radici ben più profonde e forti di quanto la nostra giovane rivoluzione istriana di stampo regionalista non abbia saputo evidenziare mentre viaggiava sulle ali dell’entusiasmo euroregionalista.

Sto scrivendo l’inno istriano, un inno trilungue ovvero un inno scritto in tre dialetti di tre lingue – il croato, l’italiano e lo sloveno (prego di notare l’ordine alfabetico) parlate sul territorio, e in una lingua parzialmente “morta” – il latino. Perché purtroppo non conosciamo la lingua originale della penisola, quella parlata dagli Histri. E a tal proposito invito i linguisti ambiziosi a darsi da fare con le moderne tecniche informatiche?!

Ecco, cari miei compaesani, vi sto svelando un mio “segreto” professionale. Lo faccio perché come ben sapete non riesco a starmene in pace nel mio angolino. Inoltre ho già scritto di questi inni. E così mentre rimaniamo in attesa che i “vertici” raggiungano un accordo, e che i poeti si facciano avanti butterò già una canzone solenne dedicata all’Istria. Non mi aspetto assolutamente che (indipendentemente dalla qualità che riuscirò a raggiungere nel mio lavoro) questa vada oltre un semplice INVITO ALLA POESIA!

Mi chiedo se ci sarà ancora qualcuno che si farà avanti?

Mi chiedo se la Regione istriana bandirà un concorso pubblico per il suo inno?

O lo farà, forse, l’ambasciata UE di Verteneglio?

L’Istria, il giardino sperimentale dell’Europa; dov’è scopmparsa questa famosa immagine degli Anni ’90 del secolo scorso?

Esiste ancora l’euro-regionalismo inteso come obiettivo evoluzionistico-rivoluzionario della Nuova Europa?

E mentre attraverso le vallate dei Balcani e le onde del Mediterraneo il “terzo mondo” cerca di entrare nel “primo mondo” e gli sfortunati immigrati provenienti dall’Asia, dall’Africa e dall’Europa orientale affogano in mare, si congelano sulle Alpi, ci offrono la loro anima in depliant che vengono distribuiti sulle strade triestini, ci restituiscono le collane fatte con perline di vetro che per secoli abbiamo barattato con il loro oro conquistandoli con la croce e con la spada; ecco noi che viviamo qui dobbiamo fare una seria rifessione sul nuovo global-regionalismo. Perché impegnandoci per arrivare alla “conciliazione” interetnica e per costruire un ambiente multiculturale in cui vivere assieme noi “autentici” e noi “autoctoni” (nonostante non sia ancora stato raggiunto il consenso circa il fatto chi sia autoctono e autentico e chi non lo sia), dobbiamo dimostrare comprensione per il mondo che ci circonda e accogliere questi nuovi immigrati.

Come l’Istria e gli Histri (Illiri) accoglievano i veterani romani (crudeli conquistatori), immigrati barbari, fiduciari, finanzieri e pretori della Serenissima – che facevano venire da queste parti i nostri antenati originari della Dalmazia, del Friuli, della Carnia e dall’Albania. Come l’Austria faceva venire qui gli immigrati dalla Stiria, dalla Galizia, dai Carpati e dalla Pianura Pannonica. Come l’Italia mandava qui i regnicoli e la Jugoslavia, seguendo l’esempio italiano, i saldatori, i muratori, i camerieri, i commissari originari dell’area compresa tra “il Vardar e il Tricorno”.

Ma anche come la Croazia ha fatto arrivare qui i profughi dalla Bosnia e i veterani della Guerra patriottica – e così, adesso, come è sempre accaduto nel corso della storia, arrivano nuovi immigrati, proletari originari dai Paesi poveri; quindi quest’ipotetico inno istriano dovrebbe, forse, essere scritta in esperanto; o forse per essere pragmatici fino in fondo – in inglese.

Forse basterebbe inserire un verso dedicato al minatore che ha scavato e caricato sui vagoni 16 tonnellate e che si ritrova sempre più vecchio e sempre più sommerso dai debiti:

No ‘sta ciamarme San Pietro, no posso vegnir, perché ghe devo la mia anima ala botega della compania: Illyricum sacrum, qua intorno ‘ste frontiere inesistenti (che anche l’ultima sparira tra un tantin!) direi che xe formado un ambiente curioso e cordiale (per l’altro), una psycho-atmosfera colettiva che anticipa un possibile domani, quella nova Babilonia (by Ulderico Bernardi) come formula, come matrice, come premessa. Semo noi stessi (finalmente!) i novi conquistadores del nostro micro-continente; e xe l’armonia la nostra conquista.

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