dall’inviato
MAURO MANZIN
BELGRADO L’opposizione guidata dal Partito Radicale, il cui leader Vojislav Seselj è già rinchiuso nel carcere dell’Aia, ha radunato in piazza della Repubblica a Belgrado quindicimila persone per protestare contro l’arresto del criminale di guerra Radovan Karadzic. Dal palco l’ultrà Nikolic ha gridato tutta la sua rabbia contro il governo serbo e il presidente Tadic, definito quest’ultimo dall’ex premier Vojislav Kostunica, «il più grande traditore serbo». La folla ha urlato a più riprese «eroe» a quello che gli ultranazionalisti considerano un patriota.
Una protesta diversa dai flop dei giorni scorsi, per quanto non certo oceanica. Ma in ogni modo impotente rispetto alla sorte del famigerato ex leader serbo bosniaco: ancora rinchiuso in una camera di sicurezza della capitale serba dopo la cattura di lunedì 21 – seguita a 13 anni di latitanza e di beffe alla giustizia internazionale -, ma destinato comunque a essere estradato a breve al Tribunale dell'Aja sui crimini di guerra in ex Jugoslavia (Tpi), in barba alle manovre dilatorie dei suoi avvocati e alla sceneggiata di un ricorso fantasma.
Durante la manifestazione ci sono stati momenti di tensione con la polizia schierata in assetto antisomossa e in serata, durante lo sfollamento la polizia si è scontrata con gruppi di giovani. Sono stati usati anche i lacromogeni quando un gruppetto di manifestanti si è avvicinato minaccioso al quartier che ospita le ambasciate. Polizia presente un pò dovunque in città, dinanzi alla corte incaricata di decidere sul trasferimento di Karadzic come alle ambasciate occidentali, per evitare un bis delle violenze scatenate il 21 febbraio dalla coda del grande corteo promosso allora contro la secessione del Kosovo albanese.
I più «arrabbiati» del corteo erano gli skin heads della formazione «Obraz» (volto) tutti con le magliette nere anche se a uno sguardo più attento sembravano hooligans di serie B appena usciti da una birreria piuttosto che uomini pronti alla rivoluzione. Non si registrano scontri ne feriti alla fine l’esercito della rabbia sembra aver capito l’ineluttabile capitolazione ed ha lasciato piazza della Repubblica. Sembrava di vedere i tifosi della Stella Rossa uscire e lasciare il campo dopo una sconfitta in casa piuttosto che un manipolo di facinorosi. Nessuno fuori li ha degnati di uno sguardo mentre con le bandiere nazionaliste sulle spalle mestamente facevano ritorno alla stazione dei pullman della capitale. Si, perchè la maggior parte di essi facevano parte della periferia arrabbiata, che non ha lavoro e che vive solo di furti e spaccio di droga. E mentre un gruppo di loro stava salendo sul pullman davanti a loro transitava il bus numero 83: quello sul quale è stato arrestato la scorsa settimana Radovan Karadzic.
Ben più serie invece le minacce di morte ricevute in queste ore dal presidente Tadic. «Sei un uomo morto, se Dio dà finirai come Djindjic» si legge in una delle decine di lettere anonime giunte alla Presidenza della Repubblica e ora in mano agli inquirenti. Ricordiamo che il defunto presidente Djindjic è stato ucciso dopo la consegna di Slobodan Milosevic al tribunale dell’Aja. Minacce che sono state ricevute anche dal ministro degli interni Ivica Dacic e dal responsabile dei rapporti con il tribunale dell’Aia Vladimir Vukcevic. Intanto Belgrado, in attesa dell’estradizione di Karadzic al Tpi, vive in uno stato di polizia.