Avrebbe stupito il contrario. Tra i sorvegliati speciali dei servizi segreti jugoslavi, e parliamo del periodo antecedente la frantumazione della Federativa di Tito, c’erano anche gli italiani che vivevano (e vivono) in Croazia e Slovenia, le loro istituzioni e poi l’Università popolare di Trieste e il Consolato italiano di Capodistria.
È quanto emerso giorni fa e ripreso dai quotidiani, il polese “Glas Istre” e il fiumano “La Voce del Popolo”, rivelazioni che emergono dal documento venuto alla luce una ventina di anni fa e formulato da Josip Perkovic, ex agente segreto jugoslavo, che la Germania vuole le sia estradato (la Croazia ha risposto picche) perché sospettato di avere liquidato dissidenti croati in territorio tedesco.
A redigere il testo anche Jan Gabris dell’Intelligence di Zagabria. Entrambi lo avevano fatto per conto dell’allora presidente della Croazia, Franjo Tudjman, e dei suoi stretti collaboratori, descrivendo nei dettagli o quasi le attività degli 007 comunisti nel periodo dal 1980 al 1990, anno dell’avvento del sistema pluripartitico nelle ex repubbliche jugoslave.
Il regime di Belgrado, che vigilava e sospettava di tutto e tutti, aveva naturalmente nel mirino anche gli italiani rimasti, quelli che non avevano abbandonato le loro terre istriane e fiumane, isole comprese, da sempre guardati con diffidenza perché “nazionalisti e irredentisti”.
La storia avrebbe scritto invece pagine e verità diverse nel decennio delle guerre balcaniche, tragedie le cui conseguenze si fanno sentire tuttora. All’epoca i servizi jugoslavi rivolgevano particolari attenzioni a nomi noti della nostra Comunità nazionale, come ad esempio Antonio Borme, Antonio Pellizzer, Giovanni Radossi e Anita Forlani.
I controlli riguardavano anche gli esuli, l’Università popolare triestina, il consolato italiano a Capodistria e anche alcuni presunti irredentisti, presenti nella Chiesa cattolica in Italia. Belgrado temeva sinergie di qua e di là del confine, che avrebbero avuto un traguardo: la secessione dei territori ottenuti dopo il secondo conflitto mondiale e la loro annessione all’Italia.
L’Udba, così nel dossier, marcava strettamente i servizi segreti italiani operativi a Udine, aveva un agente infiltrato nella Capitaneria di porto di Trieste, seguiva quanto avveniva all’Istituto di studi e documentazione sull’Europa, con sede a Trieste e si impegnava pure nel parare i colpi del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (Sismi). Prima della caduta della Jugoslavia l’attività degli 007 fu frenetica soprattutto nelle aree di confine, e, in azione non c’erano solo gli jugoslavi ma anche i britannici e gli americani, senza dimenticare i francesi soprattutto in Croazia.
Andrea Marsanich
www.ilpiccolo.it 13 luglio 2013