Interessi nazionali e diritti degli esuli calpestati dal Trattato di Osimo 49 anni fa

Il settantennale del ritorno dell’Italia a Trieste avvenuto il 26 ottobre 1954 ha suscitato rinnovato interesse su quella che è stata definita l’ultima pagina del Risorgimento, restando però sfumata sullo sfondo l’altra faccia della medaglia. Cioè il fatto che il Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954 aveva assegnato sì la Zona A del mai costituito Territorio Libero di Trieste all’amministrazione civile italiana, ma contestualmente la Zona B con i distretti di Capodistria e di Buie passava all’amministrazione civile jugoslava. In precedenza in questo spicchio dell’Istria settentrionale si era esercitato nelle forme dell’amministrazione militare jugoslava un controllo sempre più capillare da parte della dittatura comunista di Josip Broz “Tito”, contravvenendo alle consuetudini del diritto internazionale, in base alle quali un’amministrazione militare deve limitarsi a garantire l’ordine pubblico e mantenere in vigore le istituzioni dello Stato che continua ad esercitare la propria sovranità territoriale (nel caso di specie l’Italia) in attesa che un accordo internazionalmente riconosciuto ne stabilisca la definitiva appartenenza. Imposizione di una nuova valuta, la Jugolira, con conseguente repressione violenta delle manifestazioni di protesta. Sfiorato linciaggio del Vescovo Antonio Santin venuto a Capodistria per impartire la Cresima. Elezioni amministrative svolte imponendo la presenza solamente della lista del Partito Comunista e costringendo gli italiani autoctoni ad andare a votarla. Arresti ed eliminazioni di oppositori al progetto annessionista jugoslavo o comunque di figure che avrebbero potuto contrastare il totalitarismo di Belgrado, con il caso eclatante del Beato don Bonifacio martirizzato in odium fidei.

Un clima di violenza e di prevaricazione che avrebbe indotto ulteriori migliaia di istriani ad esodare dopo che erano stati definitivamente disattesi gli auspici della Dichiarazione Tripartita del 20 marzo 1948, in base alla quale Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia auspicavano l’assegnazione all’Italia di tutto il Territorio Libero di Trieste. Proposta che l’Unione Sovietica e di riflesso il Partito Comunista Italiano osteggiarono, fornendo ulteriore alimento alla propaganda anticomunista della Democrazia Cristiana alla vigilia delle prime elezioni dell’Italia repubblicana del 18 aprile, come era intenzione dei firmatari della Dichiarazione.

Nonostante tutto questo, la sovranità italiana sulla Zona B dal punto di vista del diritto internazionale restava intatta. Il Memorandum di Londra era stato sottoscritto da Stati Uniti, Inghilterra, Jugoslavia e Italia, spettava adesso a Roma e a Belgrado risolvere bilateralmente la partita. Tuttavia nell’immaginario collettivo italiano l’euforia patriottica del 26 ottobre con la trionfale accoglienza delle truppe italiane a Trieste e del 4 Novembre con la celebrazione dell’anniversario della vittoria nella Prima Guerra Mondiale celebrato nella città di San Giusto alla presenza del Capo dello Stato Luigi Einaudi aveva di fatto concluso la vicenda. Nel 1961 il centenario della nascita dell’Italia come Stato unitario rappresentò l’ultimo momento di grande entusiasmo nazionalpopolare, cominciando a delinearsi le tensioni sociali che sarebbero sfociate nel Sessantotto. L’onda lunga sessantottina avrebbe tra l’altro definitivamente messo in soffitta i discorsi collegati all’interesse nazionale ed alla grandezza della Patria, lasciando sostanzialmente la diplomazia italiana isolata nella conduzione delle trattative con la Jugoslavia finalizzate ad addivenire a un accordo che riconoscesse i legittimi diritti.

Anche sul piano internazionale giungevano pressioni di segno avverso, a partire dall’interesse statunitense di stabilizzare il regime di Tito che si manteneva equidistante tra i due blocchi della Guerra Fredda in quanto leader dei Non Allineati, ma connesso alla NATO attraverso un’alleanza di carattere difensivo stipulata con Grecia e Turchia. Il clima di distensione che attraversava la cortina di ferro aveva consentito alla Germania di avviare l’Ostpolitik di riavvicinamento con l’Europa orientale e pure l’Italia si era mossa in tale direzione, approfondendo i legami commerciali con Belgrado e favorendo gli investimenti della FIAT (stabilimenti di produzione della Zastava) e dell’ENI (prospezioni nell’Adriatico insieme alla compagnia petrolifera croata). Proseguivano poi le aperture della DC a sinistra, ove la figura di Tito rivestiva un ruolo carismatico vuoi come rappresentante di una lotta partigiana vinta senza l’aiuto di interventi militari stranieri, vuoi come fautore di una via nazionale al socialismo slegata dal Cremlino.

Il 10 novembre 1975 a Osimo, nella sorpresa generale, i plenipotenziari italiano e jugoslavo firmarono il Trattato con cui l’Italia rinunciò definitivamente alla sovranità sulla Zona B del TLT: la Farnesina stessa era stata scavalcata da una mossa decisa dal Presidente del Consiglio Aldo Moro che scatenò la protesta di Trieste. La robusta componente di esuli istriani stabilitasi nel capoluogo giuliano e l’opinione pubblica locale contestarono una scelta calata dall’alto, senza alcuna trasparenza e che imponeva la realizzazione di una zona franca industriale transfrontaliera dal forte impatto ambientale e che avrebbe agevolato la manodopera jugoslava a basso costo. La reazione popolare nelle piazze e nelle urne con il clamoroso trionfo della neonata Lista per Trieste scongiurò tale progetto, si erano invece compiute l’ultima rinuncia italiana all’Istria, una nuova manifestazione di cupidigia di servilismo e la miopia di non comprendere che la vicina morte dell’ottuagenario Tito avrebbe dato più ampi margini di manovra nella soluzione della vicenda.

Lorenzo Salimbeni 

 

 

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