di Fabrizio Vincenti su La Gazzetta di Lucca del 31 marzo 2011
E’ poco più di una ragazza, ma i ricordi dell’esodo degli italiani dall’Istria l’ha investita in pieno. I suoi nonni venivano dai paesini vicino Pola e lei è cresciuta tra i racconti, e i dolori, di quell’addio forzato. Viviana Dinelli è la delegata per la provincia di Lucca dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia che riunisce gli esuli del confine orientale anche nella sua bandiera, costituita da un tricolore e dai drappi dell’Istria, della Dalmazia e di Fiume. Dinelli ha dato alla luce, grazie alla Provincia di Lucca, una pubblicazione che si potrebbe definire memorialistica ma che conserva, con la speranza di riuscire a trasmetterla alle generazioni successive, le sofferenze ma anche la grande dignità di chi dovette andarsene da casa propria e disperdersi in Italia come all’estero. Tra di essi 1200 approdarono a Lucca e Dinelli ha scelto 14 storie per descrivere quale fu il clima in cui gli esuli dovettero muoversi nella nostra città.
“E’ un tentativo di lasciare un documento, una traccia di quello che ormai tanti anni fa passarono centinaia e centinaia di esuli che si fermarono a Lucca. Nei loro racconti ci sono le sofferenze e la diffidenza con cui furono accolti, ma anche la loro capacità poi di sapersi integrare nel tessuto cittadino senza perdere la loro identità”.
Che cosa trovarono a Lucca gli esuli del confine orientale?
“Come dicevo, almeno inizialmente grande diffidenza, senza dimenticare le difficoltà materiali: erano concentrati nell’ex Real Collegio, in condizioni davvero precarie, spesso senza un minimo di spazio vitale a disposizione. Altrove, però, andò pure peggio e gli esuli furono bersaglio di polemiche e anche di violenze”.
Senza considerare il distacco da tutto il proprio mondo.
“Certo, è un aspetto, quello del distacco, fondamentale per capire le sofferenze di questa gente. Faccio un esempio: il rapporto con il mare, che ha segnato generazioni di istriani. Quando alcuni di loro vennero a Lucca gli fu detto che c’era il mare e grande fu il dolore e lo stupore quando si accorsero che non era così. Il mare per loro era la vita”.
Alcuni trovarono lavoro nella Manifattura tabacchi.
“Sì, perché in Istria c’era personale specializzato e dunque fu naturale cercare di reimpiegarlo qui”.
Quanti sono gli esuli rimasti attualmente nella nostra città?
“Per quanto ne sappiamo circa un centinaio di famiglie”.
La tragedia degli esuli è una di quelle pagine spesso dimenticate della nostra storia patria: cosa pensate di fare per farla conoscere soprattutto alle nuove generazioni?
“In sede locale, per il giorno del Ricordo, il 10 febbraio, abbiamo tenuto un incontro nelle scuole, per il momento non sono stati organizzate iniziative invece che prevedono visite ai luoghi delle foibe dove morirono tante persone colpevoli solo di essere italiane”.
I rapporti con i pochi italiani rimasti là paiono essersi rarefatti: come mantenere viva l’identità nazionale in terre storicamente italiane?
“Credo che sia possibile, anche attraverso l’integrazione europea che ha toccato già uno degli stati dove ci c’è un minoranze italiana, ovvero la Slovenia. Quanto ai rapporti con i pochi italiani rimasti là, è vero, c’è da ricomporre una frattura”.